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Tela di Eràto
Nota di lettura di Ivano Mugnaini relativa ad alcuni aspetti dell’opera poetica di Valeria Serofilli
Apparso su La Clessidra, Joker Edizioni - Numero 1/2004 Anno X n. 1 - Aprile 2004 -
<<Se ti bisbiglia
un fruscio in mente
e non l’annoti
non cede passo
a parola alcuna>>
Valeria Serofilli
Esergo di Tela di Erato tratto dalla lirica "Introduzione", contenuta in Comete per la coda, raccolta ancora inedita.
Questa epigrafe, a me pare, contiene e rivela alcune delle caratteristiche della poetica di Valeria Serofilli, o meglio alcuni aspetti del suo rapporto con la scrittura, con la poesia.
Si parla innanzitutto di un fruscio, qualcosa di lieve, un suono che si annuncia e si manifesta su frequenze leggere, accennate, in punta di piedi quasi, come una foglia appena sfiorata o un abito di seta che accarezza il selciato. Quest’idea di lievità viene poi ulteriormente rafforzata dal riferimento al bisbiglio. L’esatto opposto dell’urlo, dell’aggressività, della violenza sbraitata e prevaricante. Valeria Serofilli ricerca quanto di etereo e soave è ancora percepibile nonostante il dilagare imperante del caos. Si tratta tuttavia di una percezione che non si appaga e non si arresta al livello esteriore, epidermico. Non è vibrazione estemporanea, evanescente.
Il fruscio, infatti, bisbiglia in mente, raggiunge il livello razionale, viene interiorizzato, rielaborato, rivissuto. Viene arricchito dal substrato culturale di riferimenti letterari ed iconografici: le parole e le immagini custodite amorevolmente nella memoria. Questo soffio iniziale viene ad essere in tal modo il punto di partenza e di ritorno, il luogo ideale in cui la dimensione esteriore confluisce generando un piano poetico parallelo che di quella dimensione è al tempo stesso fonte ed origine.
L’invito di Valeria Serofilli, a se stessa e a chiunque scriva, è quello di annotare il fruscio dell’emozione, di fermarlo, di farlo proprio con il sigillo dell’inchiostro. E non appare semplicemente un voler suggerire di registrare i propri stati d’animo più intensi strappandoli al flusso inesorabile dell’oblio. Suona assai di più come un’esortazione a far coincidere il susseguirsi delle sensazioni con lo scorrere del tempo, scandito a sua volta dalla linea ininterrotta della scrittura, della lirica, del verso che attraversa da un capo all’altro la pagina e l’animo. Il fruscio dell’ispirazione cede così il passo alla parola. La lascia avanzare, si fa raggiungere, le si affianca ed accorda i passi con i suoi. In un cammino condiviso orientato verso la meta più ambita, l’armonia, il momento in cui il cuore e la mente vibrano dello stesso fruscio: l’attimo prezioso in cui è dato di cogliere l’essenza della poesia nella realtà e la realtà assume a sua volta le forme e i colori dell’arte, della poesia.
«Se realtà non corrisponde
a quel baglior che a te dentro s’accende,
del mare fa come schiuma con onda:
lotta e baruffa ma fusion non pretende!»
Valeria Serofilli
(dalla lirica "Fosfeni", contenuta in Tela di Erato, Sovera Multimedia Ed. - Roma, 2002)
Realtà e bagliore, dimensione esterna e luce dell’interiorità, vengono qui messi in parallelo, vengono affiancati da Valeria Serofilli in una sintesi che si carica di valori metaforici, non necessariamente univoci ma di sicuro significato, sia nel contesto specifico di questa epigrafe che, più in generale, nell’ambito della sua produzione poetica.
Il termine «bagliore» che l’autrice utilizza suggerisce l’idea di una luce indiretta, mediata. Separata, sia dal punto di vista spaziale che temporale, dalla fonte prima ed originaria che la genera. Distanziata, non solo sotto l’aspetto meramente visivo, dal fulcro da cui luce e calore si irradiano.
Tutto ciò tuttavia non indica un depotenziamento, non conduce alla percezione di una forza od un’intensità minori. Richiama piuttosto l’idea primaria e fondamentale dell’interiorizzazione, dell’acquisizione progressiva attraverso il filtro dei sentimenti, degli stati d’animo individuali.
La realtà esterna, i dati di fatto nudi e crudi, vengono accostati e confrontati idealmente con un bagliore, qualcosa di impalpabile, sfuggente, sfumato. Ma il bagliore, specifica l’autrice, si accende dentro, è qualcosa di intimo, profondo, imprenscindibile. Vale la pena quindi tentare di identificarlo, di individuarne le caratteristiche, i tratti, le coordinate.
Potrebbe essere l’amore, il più vivido e intenso dei bagliori. Ma anche, perché no, la poesia stessa: un’altra realtà, una realtà altra. Una realtà che non fugge, non si nasconde, non si benda gli occhi per sfuggire alle sferzate dirette della verità. Si lascia investire, se ne lascia pervadere. Ma sente, altrettanto violenta, la necessità di trasformarla, in un riflesso magari, in tinte più lievi, in chiaroscuri complessi in cui possano convivere le ombre e le luci, le verità ed i sogni. Il bagliore, rispetto alla realtà, appare più articolato, più armonioso. O perlomeno è più consono alle complessità dell’animo umano. E’ più generoso: concede spazio alla necessità di immaginare. Persino di immaginare una realtà diversa, meno aspra nei contorni, meno spietatamente esatta e definita, più vivibile, più sognabile.
Accade anche tuttavia, l’autrice ne è conscia, che la realtà e il bagliore non corrispondano, rimangano distanti, su piani separati. Per esprimere questo fa ricorso ad un riferimento che si inquadra in maniera che a me pare consona con le caratteristiche sia della raccolta che presenta oggi, «Tela di Erato», sia con la sua produzione poetica precedente. Utilizza l’immagine del mare. Procedimento di per sé rischioso in quanto il mare è sempre stato oggetto privilegiato dell’attenzione dei poeti. Si potrebbe correre il rischio di cadere nel retorico o comunque nell’abusato, nell’inflazionato. Ma il bagliore è nitido e questo rischio viene scongiurato. In primo luogo perché l’emozione è autentica, non è posticcia né di maniera, e ciò sorregge adeguatamente l’ispirazione. Secondo ma non meno significativo elemento è la capacità di osservazione, l’attenzione ai dettagli. Capacità innata ma anche mutuata e sostenuta probabilmente dagli studi artistici dell’autrice, dalla passione, in particolare, per la pittura. Il mare di cui parla Valeria Serofilli sembra emergere da un quadro, una di quelle marine in cui le onde si infrangono contro una barriera scura di scogli oppure contro un promontorio coperto di erba soffice. Ma la sensazione del lettore si complica e si dirama, in quanto quello stesso quadro appare reale, o, più esattamente, è la realtà che trova spazio in quella cornice immaginaria. Un gioco continuo di rimandi che fa sì che si diluisca e si dissolva il confine, l’idea dell’origine prima e della separazione tra le due dimensioni.
L’immagine mentale del mare e la dimensione reale e concreta delle acque salmastre confluiscono nello stesso alveo, l’interiorità. Ciò permette all’autrice di cogliere ed isolare il dettaglio significativo, funzionale a ciò che vuole esprimere: la spuma del mare sembra scivolare su un piano parallelo rispetto alle onde. Allo stesso modo in cui sulla tela di un quadro il grumo bianco di colore che raffigura la spuma rimane separato rispetto allo sfondo azzurro. L’idea si fa tangibile, palpabile. E’ il bagliore iniziale che, ancora una volta, permette di cogliere la minuzia essenziale, l’istante, il particolare che trasforma la realtà in poesia.
Il senso globale dell’epigrafe è pessimistico. L’assunto di base è che la realtà non sempre si armonizza con le speranze, con i sogni. Esiste comunque una versione alternativa della stessa epigrafe nella quale si descrivono gli aspetti e gli effetti di un’eclisse, immagine particolarmente cara all’autrice: «Se realtà non corrisponde a quel baglior che a te dentro s’accende, del mare fa come schiuma con onde; oppure fa in eclisse come luna con sole: lotta e baruffa e pretende fusione!» Dal punto di vista ritmico forte è il richiamo al ritmo petrarchesco, quale emerge ad esempio dai versi <<perché negli atti d'allegrezza spenti / di fuor si legge com'io dentro avvampi>>. Si arriva qui al rovesciamento di segno dell’assunto. Il verdetto, apparentemente definito e incontrovertibile, viene ribaltato. Non c’è rischio di incongruenza né sovrapposizione di enunciati di natura divergente. C’è, semmai, una visione più ampia, il panorama variegato di contrasti che contribuisce alla rappresentazione delle sfumature complesse del paesaggio interiore. Il sole e la luna, gli estremi opposti, vengono a coincidere, si fondono, condividono per qualche istante lo spazio, il tempo, la luce.
Non appare casuale né trascurabile nel contesto specifico e in una dimensione più ampia, nell’intero orizzonte della poetica di Valeria Serofilli, neppure questa ambivalenza,il coesistere di due versioni diverse di uno stesso spunto, uno stessa immagine, un identico pensiero. Si tratta in apparenza di un punto di vista contrastante, ma a ben vedere le due versioni si rivelano complementari. La poesia in fondo illumina e si lascia illuminare sia dalla mancata fusione, dal dissidio, che dall’armonia, non di rado inattesa e fugace ma proprio per questo preziosa. Basta sapere guardare il mare ed il cielo. O meglio, basta saperli vedere. Trovare, nella fusione di buio e di luce, il bagliore tenue o accecante, doloroso o suadente, ma sempre a suo modo salvifico della poesia.
IVANO MUGNAINI
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