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I semi delle cose, Ed. Rebellato, Padova, 1975.

Renata Giambene > Poesia


Premio Rhegium Julii 1976

I semi delle cose, sono sì, come dice Salveti, i sentimenti, i comportamenti che la realtà ha in sé, scandagliati dalla poesia, ma anche la sua poesia stessa che mentre osserva si interroga, in modo asciutto, e come osserverebbe Pavese, “Virile”. C'è una grande forza tanto nel suo spirito di osservazione, quanto nella riflessione ad essa sottesa; comincerei con il notare che è una forza realistica, talvolta rude, dove interviene la sua visione della vita, ferma, ma anche inquieta, dolorosa.
Mi fa piacere scriverle questo, perché la sua voce è tutto fuorché “il palpito”, la confidenza tipica, e talvolta effusiva della lirica femminile. Sarei ancora più curioso di accertare, al fondo della sua risolutezza, le ragioni che sono a monte; ma mi basta il carattere preciso, denso, della sua espressione. Davvero mi congratulo molto con lei per questo dono, e le auguro di lavorare sempre in direzione della stringatezza delle “cose da dire”.

Giacinto Spagnoletti

Roma, 15 Febbraio 1976



«Avanti!» 24 Luglio 1977A proposito de I semi delle cose.«... Ma sia che svolga il tema di una ricerca mnemonica essenziale e preziosa, dell'indagine colta con un candore arguto - tutto toscano - sia che s'immerga con lo stupore e lo sdegno dei puri nella realtà sociale. Renata Giambene dimostra tutta la maturità espressiva già avvertita dalla critica».

Sandro Di Paola



«Gazzetta di Pescara» 26 Ottobre 1975
A proposito de
I semi delle cose.
«...A noi preme mettere in rilievo che in ognuna delle tre parti, vi è il frutto di un discorso interiore mai decomposto per offrirsi a spicchi, ma fattosi unico diario senza termine con voci ora lente ora rapide, sempre provenienti da uno spazio lirico e meditato ... L'ieri, l'oggi, il domani passano disinvolti sulla pagina della Giambene: le proiezioni nella memoria, le accensioni sul presente e le intuizioni del futuro, tese a cogliere i significati lontani e vicini dell'inquietudine umana e dell'ordine-disordine delle cose, sono segni viaggianti di un'ardua ricostruzione etica del mondo personale della poetessa in primo luogo e di ciascuno di noi ...».

Igino Creati


Dal saggio La poesia di Renata Giambene
«... Inventiva e purezza del linguaggio, ecco le qualità salienti della poesia di Renata Giambene, alle quali si accompagna una emozione sempre profonda che non risente mai del vuoto quotidiano. La sua è una torre d'avorio, che filtra la realtà di una vita che assurge sempre a simbolo, che rifugge dal banale e dal convenzionale, che aspira umanità ...»

Marco Barabotti


Dal volume di saggi Tre percorsi nella poesia femminile degli anni '80
«... La Giambene non paga degli esiti precedentemente accertati della sua poesia, continua la propria ricerca stilistica che è insieme uno scandagliare in profondità la vena sociale e 'altruistica' della sua ispirazione. Ne è prova: L'occhio della mosca, in corso di stampa, dove il recitativo quasi cantato inseribile nella grande tradizione da Brecht a Lorca, polverizza la realtà sociale con una capacità di compassione che arriva al cuore più intimo di ogni dramma umano ...»

Neria De Giovanni

Nota critica de I semi delle cose
a cura di Lorenzo Vota
Nel recensire questo libro di Renata Giambene mi accordo subito con Gaetano Salveti su di una coincidenza critica fondamentale. Più sull'elogio metrico dei giambi collegati generalmente ad un pentametro scazonte, mi concentro sull'aspetto pugnace di questa incompromessa autrice. Non è sull'ottonario, il settenario, il quinario o l'endecasillabo, il martelliano o alessandrino, che si può basare l'indagine su questa poetessa; dando io per scontato che indipendentemente da un tribrachio e da un anapesto tutta quanta la produzione della Giambene da Passi di piedi nudi a L'età finì dei gridi (1959) a Sosta al fiume (1964) sino alla presente raccolta, è organata in una consequenzialità ritmica in cui è difficile districare le combinazioni versificatorie che vengono superate in un'armonia ritmica forse consapevole all'inizio ma ora procedente senza spartito e con non minore impeccabilità di esecuzione come presso un rinomato archestratore in concerti mnemonicamente memorizzati.

Lorenzo Vota



PREMIO NAZIONALE RAGUSA

“Poesia anni 70”

La Giuria del PREMIO NAZIONALE RAGUSA - POESIA ANNI 70, presieduta da Gaetano Salveti e composta da Francesco Pisana, Minnie Alzona, Dino Barone, Giorgio Bàrberi Squarotti, Ugo Fasolo, Massimo Grillandi, Federico Hoefer, Ruggero Jacobbi, Emanuele Mandarà, Giovanni Occhipinti, Lidia Ratti e Luigi Tallarico, hanno assegnato il premio a Renata Giambene per I semi delle cose edito da Rebellato nella collana « Secondo Novecento». Una menzione d'onore è stata attribuita a Renzo Barsacchi per il volume Un grumo di fede e ad Elia Malagò per il libro Di un'impossibile maturità. Segnalati Carlo Marcello Conti, Roberto Gagno e Mario Micozzi.Il pittore romano Antonello Rizza ha offerto un quadro dal titolo «Poesia del Cosmo».

Supplemento a CRONORAMA — Rassegna di Cultura — N. 7 — Ottobre 1976

Ragioni

Ancora una volta si celebra a Ragusa, per iniziativa dell'Università Popolare, la festa della poesia. Settantacinque poeti sono presenti questa sera, tra noi, scrittori, critici letterari, professori, studenti, operai: sono presenti con la loro opera silenziosa, condensata in libri generalmente smilzi e dimessi, economicamente improduttiva, destinata a una vita semiclandestina, spesso caduta, raramente tenuta in seria considerazione da coloro che gestiscono la cosa pubblica, generalmente giudicata come marginale rispetto al negozio degli uomini.
A questi poeti va questa sera il nostro saluto, il nostro augurio di un lavoro duraturo e sollecitante, il nostro incoraggiamento: sappiano essi che fino a quando vivrà sulla terra un solo uomo, il poeta giustifica tutti i poeti e tutta la vita di una società. Attività non inutile, ma necessaria; aspirazione non individuale, ma collettiva; strumento non della cronaca, ma della storia; creatura non inefficiente, ma che ha in sé tutta la forza necessaria per determinare la crescita di una civiltà; la poesia è ancora oggi, tra consumismo e tecnologia, il punto fermo intorno al quale ruota l'asse portante di una società; si coagulano i valori religiosi, morali, sociali e politici comunque concorrenti a definire il volto, il profilo, le caratteristiche di una civiltà.
E non a caso, in un momento storico che si palesa incerto, insicuro, privo di futuro prevedibile, i poeti indicano, ciascuno dalla sua parte e ciascuno con originalità di espressione, le strade possibili, le vie da seguire per ricomporre il frammentario, restituire fiducia a chi è già in preda allo sconforto, aprire la speranza per quanti sembrano ormai rassegnati al pessimismo, all'ateo rifugiarsi nel nulla.
Che se fino al 1968, anno che segna un momento storico fondamentale nel rinnovamento della coscienza culturale e poetica (l'imagination au pouvoir — dicevano gli studenti de La Sorbonne), i poeti ancora si appellavano, per consistere, ai maestri del passato o cercavano spazio nell'ambito delle correnti poetiche più operative (l'ermetismo, il moralismo, il neoermetismo, il neoavanguardismo, il nuovo romanticismo ecc. ecc.); se questo avveniva fino al 1968, da quel momento in poi una libertà di pensiero e di espressione si è così radicalmente imposta da dare l'impressione che i giovani poeti camminino con passi propri, alla ricerca di una verità propria, disancorata dalle lezioni di Montale, Ungaretti e Quasimodo, di una verità che è già una pericolosa avventura, un mare aperto privo di scogli cui aggrapparsi in caso di tempesta.
La dialettica in atto è oggi quanto mai ricca di ricerche, innovazioni, sperimentazioni, problematicità, assunzione dei <<vissuti>>, rilevamento delle interelazioni umane in un coesistere di esistenze sempre più avide di riconoscersi e di appuntarsi ad una certezza di felicità o di speranza. Dio e la ricerca del Dio, un Natale che stia dentro ogni singolo uomo come scoperta piena di un assoluto cui appuntare la vissuta, quotidiana, contraddizione vitale; la vivanza e la ricerca di un comportamento che trasformi alla fine la vita in vivanza, cioè in vissuti entro rapporti non alienanti; l'utopia, unica risorsa, alla fine, perché una società sia viva, fermentante, sempre in movimento; la fede nell'uomo, nella creatura umana stretta nel centimetro quadrato del mattone sul quale quotidianamente si dimena e si dibatte; la speranza, momento dialettico che vive tra tensione di essere altro da sé e la disillusione che non è, alla fine, possibile uscire da sé, dal proprio io, dalla delusione di essere qui ed ora in dimensione contraffatta e pericolante; la certezza che il poetico è la radice del reale, l'unità che giustificando — come diceva Eliot — i poeti vivi nei poeti morti, rappresenta la tradizione, il legame incorruttibile con i livelli culturali cosidetti subalterni ma che il poeta riconduce a dignità di linguaggio e di modificante sostegno del reale.
Ecco, in sintesi, i campi di azione in cui il poeta contemporaneo esercita la sua denuncia e la sua profezia : a questi poeti, che illuminano la nostra coscienza perché si prenda contatto con una realtà sociale spesso dimenticata; a questi poeti che palpano il male annidato nel mondo e, come Faust, chiedono l'attimo fermati non appena riconoscono un gesto d'amore, di libertà, di fratellanza; a questi poeti il PREMIO NAZIONALE RAGUSA — POESIA ANNI '70, rivolge oggi un cordiale benvenuto. Sia la poesia, in noi e con noi, per il merito dei poeti, lo strumento capace di modificare una realtà contemporanea che rigettiamo come mortificatrice dell'uomo, della libertà e dell'amore.

Gaetano Salveti


Ragusa, 9 Ottobre 1976


NOTA AL LIBRO PREMIATO
Al discorso denso e appassionato di Gaetano Salveti sulle ragioni della Poesia e del «Premio Nazionale Ragusa — Anni "7 O», era inevitabile che seguisse una nota a I semi delle cose.
Ebbene, va subito detto che, dalla scenografia naturale e paesana — non populista —, Renata Giambene ama ricavare suggestioni, immagini, motivi, spesso con la grinta e l'incisività della battuta, della bordata, se si vuole, che denota una sincera propensione al (ri) sentimento sociale e civile, sempre al di sopra del lamento e dello sfogo, che sta lì a sottolineare l'impegno morale del poeta all'immedesimazione nella realtà già socialmente complessa e problematica degli anni 50 - 60. Sullo sfondo nonostante tutto incantato, vitale, seducente di un paesaggio qualche volta festaiolo e tipicamente toscano, che però in trasparenza lascia intravedere lo scenario ingannevole delle illusioni/lusinghe della vita, c'è tutto uno scorrere di sequenze intorno alla condizione degli emarginati di sempre, delle stanche comparse della vita. Ne è spia semantica la presenza di sintagmi come per esempio: «sbadigli grassi dei padroni»; «il figlio dei padroni».
Più spesso, a prevalere è il canto lieve ed estroverso, il «giovanile» risentimento affidati al tono e al ritmo della canzonatura, della «cantata» lievemente ironica; a meno che, questi, non cedano alla esigenza privata dell' io narrante: allora si interiorizzano, divengono «racconto» dell'anima incupita e come sopraffatta dal complesso di colpa, dal peso ancestrale del peccato d'origine: «Se chiamata sarò senza perdono, /non ti voltare, resta lungo il fiume / a somigliarmi al ciuffo d'erba forte / che resiste alla piena>> (Per un accordo). Di conseguenza, non meraviglierà allora l'onesto anelito alla redenzione. «Ma venga Iddio la grande falciatura / che separi le pietre e il dubbio vivo / per il lievito dolce del tuo pane » (Dubbio ); come anche il culto del sentimento laico per un'esigenza di compensazione /conforto che soddisfi già nella famiglia-porto, nella famiglia-rifugio, quella necessità di redenzione minima dell'anima, almeno terrenamente placata dall'amore.
Ma torniamo alla componente civile di questa poesia: ecco, dove il tema civile conquista uno spazio ben preciso, è con le composizioni che vanno dal '68 al '70: qui, il verso secco d'un'aridità però incisiva e balenante, modellato all'accento polemico, può più efficacemente esprimere l'ansia civile e il risentimento del poeta per gli inganni dell'esistenza.
E vi sono poi i momenti più congeniali — sempre i più convincenti —, quelli cioè dell'urgenza morale di un «restauro» dell'uomo! In definitiva, i due momenti del discorso poetico della Giambene, sempre accomunati da una medesima urgenza morale, se si differenziano sul piano espressivo, è perché attingono all'humus di due diverse situazioni storico-sociali: quella della civiltà preindustriale e, dopo, quest'altra dell' attuale società tecnologico-scientifica in rapida, esasperata, spasmodica evoluzione che ha paradossalmente contribuito ad abbassare l'uomo al rango di ilota del progresso. Ecco, tra questi due momenti, opposti e coincidenti, sta la poesia di Renata Giambene.

Giovanni Occhipinti



Scene di vita e di morte rivelano significati di realistica entità, hanno origine dal vero e scoprono in profondo i sensi delle cose che appaiono spesso senza senso. Sono così senza domande e risposte.

Elena Celso Chetoni




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