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Lettere aperte all'Autrice
Ma son tutti poeti?
Non c’è dubbio che le Arti maggiori, e quindi anche la poesia e le arti figurative (anzi ex figurative), siano ormai orientate ad una ricerca prettamente concettuale e, conseguentemente, ad un linguaggio ben diverso da quello della rappresentazione e della narrazione: tanto di cappello ad artisti che praticano strade e forme espressive nuove.
In particolare tanto di cappello - e un po’ d’invidia - per quei poeti che si inoltrano sui mari infiniti e insidiosi dell’introspezione, rinunciando, anzi rifiutando ed aborrendo ferri del mestiere forse un po’ consunti ma di provata efficacia: i componimenti poetici, le strofe, i versi prefissati, le rime, insomma la metrica. Riuscire ad essere lirici senza tutto questo armamentario affinato dallo svolgimento di tutta la nostra letteratura è francamente impresa da Titani. Grande Ungaretti! Grande e primo!
Poi scoppia la moda: anche alle pulci viene la tosse. Chi ha voglia di sbirciare nel mondo dei concorsi di poesia, o dell’editoria poetica - spesso queste due cose sono legate da strani patti – si accorgerà che tutta la produzione avviene rigorosamente in versi liberi e sciolti. Si tratta di una quantità di autori e di opere sterminata, alla quale manca solo la schiera dei lettori. Forse si impone una domanda che dovrebbe imporsi almeno a chi organizza i premi e ne valuta i concorrenti: sono tutti poeti? Si tratta di liriche?
Sicuramente non possiamo usare come metro… la metrica, che abbiamo visto essere assente, come del resto spesso la punteggiatura. Regolarsi in base alla disposizione delle parole sul foglio, all’incolonnamento, a originali cesure o segnature personali, sarebbe francamente ridicolo. Anche ogni tentativo di riferimento ai significati sarebbe arbitrario perche questi sono patrimonio comune del linguaggio e quindi anche dell’onestissima prosa.
Non c’è dubbio: per scoprire se c’è poesia, se c’è verso – piuttosto che semplice rigo di scrittura – dobbiamo astrarci da tutto e vedere se c’è il ritmo, elemento in più rispetto al significato ed al significante.
Ma siccome siamo semplici appassionati di poesia, forse poeti e sicuramente non critici letterari, fermiamo qui un discorso che forse può diventare insostenibile, e ci limitiamo a giocare con un vecchio aggeggio che usano i musicisti quando commissionano le parole ai cosiddetti parolieri: i numeretti. E lo facciamo in vivo partendo dai versi di un autentico poeta, anzi della valente poetessa che ci sta ospitando sul suo sito. Lo facciamo con lei perché, se ci troviamo qui, vuol dire che ne riconosciamo il valore.
Prendiamo una sua lirica a caso, sostituiamo alle parole che formano i versi quanto di più lontano ci sia da un qualsiasi valore semantico: dei numeri che riproducano gli accenti dei termini sostituiti. Possiamo scrivere il verso così mascherato in lettere o addirittura in cifre e poi leggerlo: la rivelazione sarà che questo nostro niente conserverà un ritmo e un’intima musicalità incancellabile.
Leggere e far leggere il nostro scherzo. Provare per credere. E poi facciamo la controprova: prendiamo i cosiddetti versi di qualche poeta che non ci ha convinto ed applichiamo il nostro procedimento…
Vedrete, vedrete quanti magnifici prosatori indossano piume di poeta appiccicate con la cera!
Paolo Stefanini