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Renata Giambene > Narrativa
A mio figlio Luigi,
che mi guarda e
mi parla dalla vetrata
del cielo, il libro "verità"
di mamma
PREFAZIONE
«Sul pendio della scarpata gli angeli fanno volteggiare i loro abiti di lana nei pascoli di acciaio e di smeraldo. Prati di fiamme balzano fino alla sommità del poggio. A sinistra il terriccio del crinale è calpestato da tutti gli omicidi e da tutte le battaglie, e tutti i rumori disastrosi tracciano la loro curva. Dietro il crinale di destra la linea degli orienti, dei progressi. E mentre la striscia in cima al quadro è formata dal rumore avvolgente e scattante delle conche dei mari e delle notti umane, la dolcezza fiorita delle stelle e del cielo e del resto scende di fronte alla scarpata, come un paniere, contro il nostro viso, e rende profumato e azzurro, là sotto.»: "Mistico" da "Illuminazioni" di Arthur Rimbaud, 1873. Gli angeli, anime di bambini che hanno conquistato le ali, occhi di Dio, «...sono creature allegre, vivaci...» scrive Renata Giambene. Elisiele è l'angelo custode di Silvana, nella quale è facile riconoscere l'autrice. Ma il libro non è propriamente un'autobiografia, ma anche una sorta di specchio della nostra storia, dalla II° guerra mondiale ad oggi.
«Volarono per molto tempo.
- Dove andiamo, Flaus?--Siamo quasi arrivati. Vedi laggiù quel buco nero? E' un ascensore che ci porterà al 1965 -. Vi sparirono dentro e si trovarono in piena Milano, avvolti da una nebbiolina stizzosa, proprio nei paraggi della stazione... I giovani portavano capelli lunghi e sporchi, pantaloni di jeans, magliette sfilacciate ... - Io sono Arsaniele e una volta vivevo come voi, ero un angelo, ma commisi un grosso errore e sto pagando la mia colpa. Ero molto superbo e il Signore mi ha fatto scendere in mezzo ai barboni. La città è piena di gente come questa, abbandonata, affamata. In fondo sono tutti dei disperati, anche quelli vestiti da signori e che viaggiano sempre in macchina. La gente in Italia attraversa un vento di grande rivolta, i giovani sono carichi di idee, ma non sanno bene come realizzarle e finiscono per distruggere tutto, anche se stessi. La droga è la loro morte...».
E' facile riconoscere in Arsaniele il simbolo di quei giovani caduti nelle braccia "avide" di quell'amante insaziabile e necrofora che è la droga. Nell'immaginario dell'autrice questi giovani sono "angeli caduti", incapaci, forse, di affrontare la realtà, che scelgono la via del volo di Icaro, un volo senza speranza e senza ritorno. Ma la protagonista del libro rimane pur sempre Silvana, che, con i suoi occhi-pallini neri così luccicanti da sembrare strass- ci porta in un mondo sofferto e sofferente, ma anche animato da magie e sogni, passando attraverso gli orrori della guerra e le speranze della ricostruzione. Il linguaggio usato dalla scrittrice è colloquiale ed ha il potere di evocare all'istante immagini e ritratti "a tutto tondo"; talvolta usufruisce del cosiddetto "gergo giovanile", con una sorprendente capacità di identificazione. Dal testo: «...Vinceva tutte le gare e portava dei tutù da sballo. Cosa ho detto? Sballo non è ancora di moda. Sono un angelo molto disattento...». Non mancano neppure gli scorci descrittivi: «Avevamo un bel parco, con una grotta come quella dello Scotto a Pisa, dove, quando suonava l'allarme andavamo a rifugiarci, pare che da lì, scendendo lungo la grotta si possa raggiungere, attraversando un fiume sotterraneo, il paese di Monsummano. Gli amori nascono e sfioriscono nell'arco di pochi giorni...». Nel fraseggiare dell'autrice tutto si anima e così, se gli angeli sono antropomorfi, anche tutti gli elementi paesaggistici assumono connotazioni quasi umane. E Silvana, che prima è una bambina-donna e, in seguito, una donna-bambina, sembra quasi divertirsi a ricreare, secondo il suo desiderio, la realtà che le sta intorno, inventando un mondo popolato da fate birichine e da "angeli custodi ma non troppo". Intanto gli angeli antropomorfi della Giambene dal periodo bellico vedono il futuro, che in qualche modo è il nostro presente. Dal testo: «Aloisius indicò un punto: -Sentite? Ridono e piangono-». Cominciarono a scoprire ladri da tutte le parti, ladri Onorevoli, ladri Sindaci, ladri Ministri, individui apparentemente per bene, incravattati: ladri e giù, nel meridione: camorristi e mafiosi con i loro morti eccellenti e su, al nord, ladri incredibilmente camuffati da signori, con un fiore di mafia all'occhiello. Noi guardavamo quei 45 anni di democrazia tarlata, finita nella vergogna...». E sempre gli angeli accolgono felici la nascita di Luigi, il figlio di Silvana: «...altri angeli scesero e notarono che Luigi somigliava a Gesù bambino. Aveva gli occhi di taglio lungo, come Lui, la bocca a fragolina e i pugnetti stretti tenuti di lato. Si inchinarono davanti a lui e intorno a loro si ripetè la scena di Betlemme: sentirono le cornamuse, videro la cometa, sentirono l'odore del fieno e i passi dei pastori che venivano a vederlo...». Ma l'anima di questo libro è tutta nelle parole di Parapillo, un'angelo poco custode, perché sospeso, da Dio, dal servizio:«Dicono che esista il prezzo della vita, il palcoscenico della vita, il dramma della vita e tanti altri modi di definire la vita, che come parola in sé è già un respiro esalato, come suono, cade in terra e fa il tin di una moneta d'argento falsa; ma se uno la immagina come una lacrima, cadendo, davvero diviene un mare tempestoso di angosce. Un bambino piccolo la divide, come ogni parola e dice vi-ta...».
Paola Alberti
Renata Giambene nel suo libro Angelo custode ma non troppo, ha puntualizzato sull'argomento più sacro e delicato dell'esistenza umana, quello che dalla nascita s'inoltra nei meandri più imprimenti la vita, nella zona importante che tra sbalzi e sussulti, conduce fino alla giovinezza .
Si parla quindi di infanzia, di adolescenza come preludenti allo sboccio della più bella età, la gioventù.Renata ha scelto la materia con coscienza e convinzione, sa infatti che da soli il cammino in terra è difficile e aspro, allora affianca alle umane creature un angelo custode, simbolica presenza amorosa e originale creatività dell'autrice.
Intorno a Silvana protagonista del romanzo aleggia l'angelo Elisiele. Ma ce ne sono altri: Flous, Momiele, Cillino, Parafillo, Burillo i cui "richiami riempiono di voci l'universo". Fantastici questi nomi inventati dalla divertita immaginazione di Renata.
Lei li fa parlare i suoi angeli che sono buoni e pronti a proteggere chi loro affidato. In questo pensiero di fede, la scrittrice e rivelatrice di una forza che rinsalda i rapporti tra Cielo e Terra, come sublime messaggio da Lei auspicato.
La veste autobiografica del libro non impedisce di farci pensare a un intento specifico: Renata non si è soltanto identificata nella piccola Silvana che si fa donna, ma ha anche il valore di trasferire se stessa in tutti nell'attualità presente che appartiene a ognuno di noi in questo '900 tormentato.
Possiamo rispecchiarci nelle pagine dentro l'atmosfera rovente della guerra con i suoi orrori disumani. Renata vive in queste realtà indimenticabili, le soffre ancora e scrive colma di affetti e di umanità. Il suo libro rivela sé in un'anima schietta, quella di Silvana, bimba di carattere fermo e volitivo, vivacemente simpatica pronta a capire il mondo degli altri e soprattutto se stessa nella propria appartenenza alla natura.
L'angelo custode di Silvana, Elisiele, non muterà la sua sorte, ma è presente consolazione della sua vita. Sacra tale assistenza, che pure ha i suoi limiti razionali e ineluttabili. Custode ma non troppo infatti è il titolo. Allora Renata a buon diritto pensa che queste creature celesti, pur offrendo protezione e aiuto, non possono fare più di quelche fanno. Ciò è indiscusso nella fiaba della scrittrice e appare tra immagini e realtà, tra sogno e fantasia.
Con la nobile finezza della sua penna, Renata insegna la più grande verità della vita: gli uni con gli altri, come Parafillo che da a chi "mangiava fame".
Bisogna "costruire non distruggere", bisogna "tirare fuori dalle rovine i sentimenti intatti". Questa è giusta misura di vita.
Il libro è esposto in narrativa chiara e lucente anche in pagine serie e concettuose.
C'è sempre levità di espressione in un aristocratico linguaggio che fluisce come in "una plenitudine volante" espressione dantesca sorta nella mia mente nel leggere il bellibro di Renata.
Elena Celso Chetoni
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