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Nel senso del verso Nuovo volume
La nostra amica Valeria ha messo mano stavolta ad un'impresa difficile, ossia spiegare la propria poesia con la sua stessa poesia. Già alcuni anni fa era uscita una sua opera con lo stesso titolo di quella che ci accingiamo ad esaminare: si trattava di un libro con audiolibro, che aveva un carattere piuttosto antologico e divulgativo della propria produzione precedente. L'Autrice stessa ci aveva confidato che sentiva tale prodotto come una tappa provvisoria della sua esperienza e che una nuova raccolta era in gestazione. Oggi possiamo leggere distesamente tale raccolta e rimanerne lietamente impressionati.
Anche il volume qui considerato è diviso in sezioni, ma la lirica Gli ulivi abbacinavano il sentiero, che nella precedente silloge Chiedo i cerchi dava il titolo ad un'intera sezione, è ora posta ad esordio. Oltre ai versi conclusivi Questa un' ipotesi/un mio trasalimento è scomparso il verso centrale, Urga - ti prego - il brivido parola, a cui avevamo attribuito un particolare significato rivelatore nei confronti di tutta la raccolta, ma le strofe maggiori sono rimaste inalterate in questa redazione e così il messaggio di fondo che crediamo di aver già individuato nella nostra lettura di Chiedo i cerchi, è rimasto identico e tale si trasmette a tutta la raccolta: l'essere si rivela in una luce mediterranea di poesia, che aspira a divenire specchio fedele della vita, come la poesia omerica, o, meglio ancora, come certa poesia greca arcaica, in particolare quella di Saffo. Lo sfolgorio della luce fra le foglie di un uliveto nel meriggio, gioco argenteo - d'impegno preso in prestito dal pugno - di noi assuefatti - dici - ed è riflesso è seguito da un tuffo conoscitivo nel mare dell'essere, che diviene poesia: e nel ricordo mi rituffo indenne // L'irripetibile dato della vita / nell'oblio di risalita / leggo // che ritmiche scandiscono le dita. Tale persistenza di una fiducia incrollabile nella conoscibilità dell'essere ci pare data dalla riproposizione di Temporale d'estate a Terracina nella sezione Oltre, che nel nostro intervento su Chiedo i cerchi ci era apparsa come un deciso controcanto al pessimismo conoscitivo montaliano. Due paesaggi mediterranei, diremmo gli unici due di tutta la raccolta, uno connotato dalla luce, l'altro dalla pioggia, tra loro vincolati dai significati complementari ad essi sottesi. L'atteggiamento di fiducia vitale dell'Autrice non è venuta meno dall'ultima raccolta e si distende per tutta la nuova silloge.
Le sezioni hanno in buona parte lo stesso titolo che avevano in Chiedo i cerchi e la loro disposizione non è affatto casuale. La prima, Tra noi poeti, e l'ultima, Un altro verso, hanno entrambe un carattere di difesa consapevole dell'arte poetica e conferiscono alla silloge una struttura ad anello. Sarà appena il caso di ricordare che Floriano Romboli nella sua prefazione ha già ben individuato la ciclicità come elemento ricorrente nella poesia della Serofilli. Nelle sezioni intermedie si ritrovano un po' tutti i temi che la Serofilli ha avuto cari nella sua produzione precedente. Nuovi testi si inframezzano ad altri già conosciuti, come appare chiaro a chi legge da tempo quest'Autrice. La poesia come raffinata forma di pittura si assimila stavolta alla tormentata e materica arte di un Van Gogh o alla severa naïveté di Michele Lovi in Quadro. La rêverie del mondo infantile appare giusto verso la fine in Sei il bimbo, dove non manca neppure un garbato e innovativo ritorno a Fedro con La pera volpina: qui la volpe diviene saggia e non cerca più di cogliere l'uva, ma aspetta sotto un pero che il dolce frutto le cada in bocca da solo. E potremmo poi notare l'affiorare di altri temi che già avevamo colto nelle precedenti sillogi, come l'ebbrezza del vino in Ebbro (omaggio a Charles Baudelaire e la passione erotica, cantata distesamente in Ostrica e in Primovere, sottilmente e genialmente allusa in Foemina. Proprio questa struttura anulare della raccolta, insieme con la tensione a rivisitare una per una le proprie esperienze precedenti, ci è sembrato fornire il chiaro indizio di una lucida e consapevole riflessione metapoetica. Lo stile della Serofilli, sempre impegnativo fin dalle prime prove, è ormai giunto a una maturazione completa ed ella lo usa con una duttilità e una disinvoltura che non lascia mai delusi nell'andamento asintattico e imprevedibile dei segni linguistici, sottolineato dalle trame allitteranti dei suoni: tutto questo ormai meriterebbe un saggio critico ben più ampio di una semplice recensione.
Ma torniamo per concludere alle nostre affermazioni precedenti e alle due sezioni che abbiamo definito "metapoetiche", la prima e l'ultima. In entrambe compaiono brani già presenti nelle prime due sezioni di Chiedo i cerchi. Notiamo, però, anzitutto che il messaggio è più essenziale e determinato: sono scomparse liriche come Perdurare di fantasmi, Quell'imperfezione in più, Estate, che, pur splendide, erano orientate al dubbio, all'incertezza interiore. L'Autrice fa capire chiaramente che è sua intenzione lasciarsi trasportare dal verso nel suo senso, superando i condizionamenti di qualsiasi natura, specie di chi si illude che la poesia vera si possa insegnare o rendere chiacchiera da salotto (Pseudo salotti e scuole di scrittura). La poesia è sofferenza creativa, come quella della luziana lucertola che perde la coda e ne fa rinascere un'altra (Segmento di lucertola). Esemplare in questo contesto ci pare Completamente fuori dal mondo, una lirica nuova, collocata verso la fine della raccolta. Qui la Serofilli ritrova felicemente la vena sorprendente e ironica degli esordi, Niente liste della spesa e memorandum / agende da programmare / di pro e contro, per affermare l'assoluta libertà della poesia, il vero varco verso l'essere, quello che non seppe trovare Montale: Voglio gustare il volo / di quel varco // per il momento / il silenzio da interrompere / di consenso / l'estasi di un istante tutto mio / se non nostro. Non si tratterà di disimpegno estetizzante, ma, appunto, di una ricerca di libertà dell'arte poetica dai legami con le convenienze del momento, culturali, o, peggio, politiche, che siano.
Andrea Salvini
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