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Saggi e note critiche di Valeria Serofilli
Nota di Lettura di Valeria Serofilli a Curve di livello
(Marsilio Editore, Venezia 2006) di Annamaria Ferramosca
Un fil rouge dai segni alle parole quello che tende tra questi due estremi Annamaria Ferramosca, come ci propone la struttura anaforica della lirica che apre la prima delle tre sezioni in cui è articolato il volume Curve di livello. I suggestivi graffiti di ipotetiche grotte di Lascaux di “Ancora siano i segni” e le pietre bianche ai piedi delle Odle in “Montagne”, traghettano il tempo come sulle pagine la scrittura, in un abbattimento di curve e di barriere spazio-temporali, abbreviando le distanze come solo la magica forza del poieo sa operare: <<(…) tra noi le distanze ora abbrevia ora allunga / scieglie i legami li scioglie li rigenera … >> (da “Montagne”).
L’autrice tesse dunque un mitologico cordone ombelicale dai segni alle parole, evocando echi fossili per rinascere eterni: <<quella notte (…) la voce embrionale ci rinacque / teneramente doppi, alteramente / bifronti nella somiglianza / Figlio e poi padre e poi fratello … >> (da “Embrionalia”).
Il distanziamento porta a conoscenza e recidere il cordone può condurre, come un’evirazione, alla tanto ambita e inseguita rinascita. Le pagine del volume di Annamaria Ferramosca si aprono docilmente come un cancello su un giardino (come recita l’esergo tratto da Borges), anzi su un’aiuola: quella profumata e fiorita della poesia. Un cancello che si schiude su vari argomenti che spaziano dall’etica alla morale, dal mito all’attualità, con quella capicità di scavo e minuziosa ricerca archeologica propria dell’autrice, con quella sua mitopoiesi (come la definisce Marcello Carlino nel sito Literary.it).
A guardia della porta-cancello il Giano bifronte, guardiano delle transizioni e dei passaggi, in grado di sorvegliare le entrate e le uscite, l’esterno e l’interno, l’alto e il basso, il pro e il contro. Il poieo diviene così immagine di una potenza salvifica senza limiti. E anche se fili spinati e prigioni (“Alcatraz”) incidono ferite di memoria, anche se maremoti (“Tsunami”) corrugano fondali e sconvolgono il cosmo, la forza salvifica della parola sutura, trionfando comunque: in sinestesie pregnanti e mai eccessive, nel ricco apparato fonoprosodico di rime interne e allitterazioni, nell’alta musicalità delle numerose consonanti e nell’armonica e omogenea struttura e impalcatura del testo.
Il linguaggio fortemente allitterante emerge molto spesso nella raccolta. Tra i tanti possibili esempi cito in particolare. <<pini d’Aleppo (…) volpi notturne a volte, (…) spine si preparano / a penetrarci (da “Sull’ottava elegia di Rilke”); arcaiche voci acute (…) canto ricanto la tua voce / (…) ti addormento, dormo anch’io… (in alfabeto morse / mi mordevano stelle)… (da “la stessa pietra”); fenocristallo sull’asfalto, (da “Jasmine”), fi-lamenti di prefica acuti (da “Desirée”), mi bevon mille bocche (da “Vineide” in cinque stanze); (…) uomo che ti canta /incantarsi cantata (da “Inno per un libro di poesie d’amore e non solo”).
Purtuttavia il vero punto di forza del volume risiede, a mio avviso, nel valore della singola parola in sé, scavata nell’anima come in una roccia di ungarettiana memoria.
Neologismi come graffiti, nel volume della Ferramosca: pulsione di acufeni, un mare frescoazzurro, fisiovita che stilla nel microuniverso dei luoghi domestici, un’altra sé più deprofumata, un sangue dell’io lirico che si fa albanese ma anche messapico greco egizio libico in un incontro d’onde e di umore paziente quanto antico, per potersi sentire <<roccia linfa voce>>.
La bravura dell’autrice consiste proprio nell’accostare fra loro parole senza virgola, quasi a ricordare il procedimento pittorico del pointillisme e poi del divisionismo di Seurat che consisteva appunto nell’accostare i colori direttamente sulla tela in piccoli tocchi.
Nella lirica “Piazza Jemaa el Fna”, numerosi i sinestetici pacchetti di parole per veicolare una poetica rinascita africana (<<rinnovando il parto / del feto antico di me africana>>): mentaradiciossaconsunte, naturadonosopravvivenza, oggettintarsi di orgogliosperanzasudore, vecchi che al sole de-cantano la storia.
La scelta linguistica della Ferramosca cade su relazioni di tipo associativo tanto importanti in poesia, più che prettamente semantico, ricerca che si conclude o meglio trova il suo work in progress nel dialogo finale tra l’autrice e la sua “inafferrabile compagna di sempre, Poesia” in un continuo gioco di lanterne, vale a dire di interrogazione e di ricerca sul significato e sul fine teleologico dell’esistenza.
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