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Saggi e note critiche di Valeria Serofilli
IL POETICO “TEMPO ALTRO” DI FERRARI
Considerazioni di Valeria Serofilli relative ad alcuni aspetti
de Nel crescere del tempo di Mauro Ferrari
Uno scrigno poetico questo che Mauro Ferrari ha pubblicato con il titolo evocativo ed efficace di Nel crescere del tempo per i tipi de “I quaderni del circolo degli artisti”,(1) in larga misura già apparso nel volume L’occhio e il cuore. (Poeti degli anni ’90)(2).
Il formato, caratteristico, ricorda quello del suo quaderno di poetica Poesia come gesto. Appunti di poetica (3), in cui Ferrari formula come riflessioni e domande, non regole e canoni veri e propri ma senz’altro le coordinate di fondo del suo modo di intendere e scrivere poesia.
E nel poeta di Nel crescere del tempo si ritrova il critico degli Appunti e si riversa la poliedrica
personalità di anglista, di traduttore, saggista, Direttore editoriale del Semestrale di Cultura letteraria “La Clessidra”(delle edizioni Joker di Novi Ligure), membro del comitato organizzatore della Biennale di Poesia di Alessandria, teorico della scrittura poetica e soprattutto poeta anch’egli, meglio, poeta per “vocazione”.
E’ nel poieo, infatti, (verbo che ha l’illuminante e misterioso significato di creare) che l’abilità creativa di Ferrari si esprime al meglio, perché, come scrive egli stesso:
<<Un vero poeta costruisce la propria vita attorno all’esigenza di Poesia e lavorerebbe anche moribondo; lasciato senza strumenti, scriverebbe col sangue. La resa esatta di quello che va detto diventa un’esigenza primaria, e anzi lo scopo ultimo, (…). Io e il mondo. In mezzo, la penna. Nient’altro. Il testo come luogo della continua sconfitta dei significati, ma anche della continua scoperta del proprio senso.>>.(4)
La scrittura, per riprendere le sue stesse parole, s’inserisce all’interno di un progetto globale di lettura del mondo.
Anche Joseph Brodskij (premio nobel per la letteratura) sottolinea il carattere fondamentale della poesia, connaturato nella nostra natura umana e nel potere di costruire un mondo altro:
<<La poesia non è una branca dell’arte, è qualcosa di più. Se ciò che ci distingue dalle altre specie è la parola, allora la poesia, che è l’operazione linguistica suprema, è la nostra meta antropologica e di fatto genetica. Chi considera la poesia un modo per passare il tempo (…) commette un crimine antropologico, in primo luogo contro se stesso[…]>>.
Con Ferrari esploratore del poetico, i versi si aprono, in spazi infiniti, alla contemplazione e all’intuizione.
Il libro–scrigno, racchiude la raccolta poetica di Ferrari Nel crescere del tempo e la documentazione delle opere esposte nel corso della mostra dell’artista e organizzatore culturale Marco Jaccond “Salpare – arenarsi”, recentemente tenutasi al Circolo degli Artisti di Faenza.
Come Jaccond, che inserisce in contesti moderni richiami mitologici evocati tramite nomi, anche Ferrari accosta vicende ed esperienze personali con temi e miti di derivazione classica: Sisifo, Mida, Odisseo, Atlantide, Proculo. “I libri di Proculo” s’intitola infatti la sezione all’interno della sua seconda raccolta poetica Al fondo delle cose.
Ma il vero fil rouge che accomuna a mio avviso i due lavori, è la tematica del VIAGGIO ESISTENZIALE. In tutte le letterature il viaggio rappresenta una ricerca: ricerca della verità, della pace, di un centro spirituale, della Madre perduta, come sostiene Jung, ricerche che convergono tutte intorno al tema della conoscenza.
Il viaggio può essere condotto all’esterno, verso lidi ignoti (Enea, Ulisse, Ercole) o può delinearsi come un’odissea intrapresa all’interno del microcosmo quotidiano, quindi costituire una presa di coscienza (viaggio dantesco).
Ed ecco che nelle tele di Jaccond, colui che intraprende il viaggio è assimilabile al naufrago, al relitto in preda alle onde, al rimbaudiano battello ebbro o ai montaliani ossi di seppia, che l’artista propone in forma di nave salma. A queste immagini si affianca quella del pellegrino smarrito.
Comunque un Ulisse <<detrito vivente approdato come per caso ai lidi dell’esistenza>> come scrive Ferrari stesso relativamente alla poesia di Elio Pecora; un Ulisse attualizzato e parodiato, che vaga tra le insegne della Coca Cola. Un Ulisse archetipo dell’uomo, che fa da coibente ad entrambi i lavori. “Ancora Ulisse” è il titolo di una delle poesie della raccolta ferrariana (<<un poveruomo, un re in brandelli / reduce dai flutti a tante pietre / e rimembranze; …>>) e sempre al personaggio di Ulisse sono correlate le tematiche dell’allontanamento, del divieto, dell’infrazione del divieto, della punizione, individuate da Vladimir Propp(5) come alcune delle trentuno unità fondamentali del modello narrativo.
Il tema del viaggio intrapreso dal vascello in preda alla tempesta si ritrova nei versi ferrariani <<L’ancora rotta che ancora frena / viaggio si fece d’improvviso senza rotta / >> della poesia “A chi saltò”, dove la suggestiva falsa rima interna di un aggettivo che diviene sostantivo (rotta), rientra sempre nello stesso campo semantico di polena, dell’ungarettiano mare “di naufragi”, di pesce volante, di fondale, come anche in “Non puoi saperlo – non è dato - mai” i termini barca, onda, secche, moli, con quel bellissimo increspare riferito al sorriso e non all’onda (<<e un occhio pieno di speranza / che il sorriso increspa incontra / un occhio volto all’orizzonte, / di statua silenziosa e mesta / che contempla come cosa fatta il mare>>).
E ancora in “Riti di passaggio” ponte, barche, traghetti, il salvagente per Atlantide dei “Frammenti di un idillio perduto”, e in “Ai bivi” remo, rotte, flutti, approdo all’isola, nodo, bussola, bonaccia; in “A pugni chiusi”<<…al fondo / delle cose si vorrebbe / la pace di fondale dei naufragi>>: tutti termini relazionati al mare (<<… ma poi è un remo / rotte imposte o casuali, l’insolenza dei flutti / che toglie il respiro, l’approdo all’isola / di poca luce e di fantasmi evanescenti>>).
Nella poetica ferrariana, caratterizzata da un puntiglioso labor limae, riecheggiano i richiami della poesia di lingua inglese (William Wordsworth, Conrad), i modelli di più ampio respiro quali
R. M. Rilke (poeta di matrice simbolista), il classicismo e i miti greci cui lo stesso Rilke del resto guarda nella sua malinconica musicalità. Musicalità che permea anche i versi di Ferrari, <<un corpus di versi rotondi poliespressivi, dal sapore vagamente eschileo>> come sostiene l’antichista Letizia Lanza(6).
Baudelaire sostiene che può dirsi un viaggiatore solo chi si mette in viaggio unicamente per il desiderio di partire; solo chi, sempre insoddisfatto, sogna un ignoto inaccessibile:
<<Colui che possiede desideri che hanno forma di nuvole (…), costui non trova mai ciò che ha inteso fuggire: se stesso. Amara scienza si ricava dal viaggio! Il mondo, piccolo, monotono, oggi come ieri e come domani e sempre, ci mostra l’immagine nostra: un’oasi d’orrore posta in mezzo a un deserto di tedio>>.(7)
In questo senso il viaggio diviene il simbolo di un perpetuo rifiuto di sé stessi, della distrazione di cui parla Pascal, e spingerebbe a concludere che il solo viaggio valido è quello che l’uomo compie all’interno di sé.
E’ questo che sembra suggerirci anche Ferrari, per il quale il viaggio si compie all’interno della parola scritta. <<Lo scrivere è affrontare un luogo di parole>> sostiene riprendendo il concetto di “testo come luogo” espresso nei suoi Appunti di poetica spingendo sonde nelle gallerie del corpo che il sisifo in perenne movimento irrora di sangue (<<il sisifo perenne delle arterie>> de “Le pagine e il fuoco”, lo stesso Sisifo che da il titolo ad una delle poesie della raccolta.).
Spingendo sonde <<nei luoghi della talpa, il cui cielo è terra e la terra / un’arteria ostruita da tenere sgombra senza requie / graffiando con l’ugne.>>. L’attività della talpa ben simboleggia il lavoro di scavo espressivo e il valore assegnato da Ferrari alla poesia, al tempo altro che il poeta <<ha dentro il petto>>, come recita una sua lirica.
E’ una vera e propria dichiarazione di poetica: si attua in Ferrari una somatizzazione della scrittura, e, sulle orme di Rilke e degli antichi culti misterici, egli conduce una riflessione sulla Poesia come uno dei tentativi di mettere l’uomo in contatto con l’invisibile e l’infinito.
C’è quindi, in questa nuova raccolta poetica ferrariana, una spinta ulteriore rispetto alla precedente, <<un ulteriore passo in avanti verso quel fondo delle cose, verso lo scavo interiore condotto con lo strumento gnoseologico del verso, per il quale la poesia diventa veicolo di conoscenza, una conoscenza che sempre più si da nella discesa, nel buio >>, come sottolinea il prof. Gianni Caccia in una sua riflessione critica sul percorso poetico di Ferrari.
Ferrari sostiene che la Poesia, come tutta l’Arte, abbia a che fare con la nozione di limite: <<quando lo strumento è la parola, il limite è la cosa stessa.>>. (8)
Montale suggeriva, in un mondo in cui tutto è eraclitamente in continuo divenire (panta rei), di “voltarsi indietro” per ovviare all’inconsistenza della realtà e per vedere l’anello che non tiene, concludendo tuttavia che <<sarà troppo tardi>> e il poeta se ne andrà via zitto col suo segreto, tra gli uomini che non si voltano(“Forse un mattino andando”).
Nel corpus poetico ferrariano le parole tematiche limite e bilico ricordano appunto Montale, presente in versi quali <<non puoi saperlo non è dato mai / il punto che fomenta il crollo, l’attimo / in cui cederà la mano che ti tiene in bilico.// in cui aleggiano i versi che maggiormente identificano il poeta ligure, vale a dire quelli in cui invita a “non chiedere la parola, a non domandare la formula che mondi possa aprire”.
Ferrari propone di reagire all’inesorabile premere del tempo con la forza salvifica di una poesia intesa come etica. La sola in grado di opporsi alla circolarità e ricorsività del tempo della norma: è forse questa la riflessione, il ricettacolo più vero di queste composizioni ferrariane, come si evince anche dal titolo della raccolta. Una poesia che scandisca un tempo altro, alternativo a quello che “rota” e “scende” in grani, centellinato dallo stretto passaggio di una clessidra, o che passa per la cruna di un ago: <<Voi che anticiperete / verso lo stretto baratro / questa discesa, che avrete / lume per antevedere i modi / oscuri della caduta / rotando e scendendo (…) ha soltanto tempo il tempo della resa>> (da “Parole dei grani di clessidra”). Ancora da “Per la cruna”: <<E adesso un’altra cruna attende / stretta il filo di speranze / che ci lega discendendo gli anni //>>.
Limite, bilico: il limite di credersi forme solide, limite sancito dalla propria corporeità. Meglio pensarsi liquidi o …spigolatrici. <<Spigolano? a capo chino nei campi intirizziti, / le speranzose di trovare ancora ricompense, / … Per quale incontro colgono, che cosa?>>, verso in cui il termine spigolare ben rende l’idea della ricerca della parola.
E parole e nomi urgono nella poesia ferrariana. La tela di Millet che esprime senza compiacenze pittoresche e aneddotiche l’austerità del lavoro delle spigolatrici, può senz’altro essere di sussidio all’interpretazione dell’omonimo testo poetico ferrariano.
La tematica esistenziale di una vita amaramente consapevole in una realtà in cui sopravvivere è l’unica forma di vittoria, come recita la frase di Rilke non a caso posta in esergo alla raccolta, è addolcita solo dalla presa di conoscenza che la poesia, pur nella sua fragilità, è superamento del LIMITE che le cose ci pongono nella loro riluttanza a lasciarsi parlare.(9)
Ferrari stempera quindi il suo crudo realismo superando così il pessimismo montaliano, colmando il varco, rimediando all’anello che non tiene, andando al fondo delle cose con la parola poetica che come il pensiero mai si spegne.
Anche Luzi celebra il valore della parola poetica. Cito testualmente:
<<Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua
significazione, giacché talvolta
lo puoi. Sogno che la cosa
esclami nel buio della mente (…) >>.(10)
Ma - si tratta di sollevare le cose alla parola o con la parola andare loro incontro? - come si chiede Alberto Cappi nell’esergo al Quaderno di poetica di Ferrari.- Come si dice allora? Si dice la distanza.-
Distanza che Ferrari è comunque riuscito a colmare andando incontro alle parole nel territorio del silenzio(11) dando loro un nome una volta chiamate dall’inesistente caotico.
Per concludere, posso sottolineare che la molteplicità dei punti di vista e dei criteri e livelli possibili di lettura e di interpretazione del messaggio poetico pone chi lo riceve (lettore, ascoltatore, fruitore occasionale, esperto del testo poetico) in un atteggiamento necessariamente attivo di <<avventura interpretativa>>, tanto che come sostiene Maria Grazia Lenisa(12) riguardo alla comprensione del lavoro creativo:
<<a volte il critico compie addirittura un’opera nuova in confronto a quella di cui scrive con delle scoperte che forse nemmeno il poeta aveva inconsapevolmente intuito>>.
Con il presente contributo corro con ogni probabilità questo rischio in quanto mi sono lasciata coinvolgere su un terreno impegnativo, ricco di implicazioni simbolico – allegoriche. Tale rischio è stato in ogni caso piacevole, così come è sempre piacevole l’autentica poesia.
Note:
1. M. Jaccond, Salpare – arenarsi, Mauro Ferrari Nel crescere del tempo, “I Quaderni del circolo degli artisti”, 2003.
2. Antologia a cura di Mauro Ferrari, introduzione di A. Cappi, Mantova 2000.
3. M. Ferrari, Poesia come gesto. Appunti di poetica, Joker, Novi Ligure, gennaio 1999.
4. Da Poesia come gesto, … cit., p. 10.
5. V. Propp, La morfologia della fiaba, vers. orig. Leningrado 1928, ital. Torino, Einaudi 1966.
6. L. Lanza, “Una caparbia voce di poesia: Mauro Ferrari” in Il diavolo nella rete, Joker, Novi Ligure, giugno 2003.
7. C. Baudelaire, I fiori del male, Trad. di Luigi de Nardis.
8. M. Ferrari, Poesia come gesto …, cit., p.33.
9. M. Ferrari, Poesia come gesto…, cit., p.12.
10. Versi della poesia di M. Luzi, “Vola alta parola”.
11. << Una soluzione è nominare le cose andando loro incontro nel territorio del silenzio>> da Poesia come gesto …, cit.,
p. 33.
12. M. Grazia Lenisa, La dinamica del comprendere, Bastogi, 2000.
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