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Venerdì 12 Dicembre 2008 - Presentazione del volume di poesie Impermanenza di Rosa Galli Pellegrini

Incontri al Caffè dell'Ussero e Iniziative culturali > Incontri al Caffè dell'Ussero > Incontri al Caffè dell'Ussero di Pisa - Anno 2008

Rosa Galli Pellegrini, professore di letteratura francese moderna e contemporanea, è specialista della poesia e del romanzo della prima metà del Seicento; ha curato l'edizione critica di diverse opere di Georges de Scudéry - Poésies diverses, Schena-Nizet, 1983-1984; Autres oeuvres, Schena-Nizet, 1990; Alaric, ou Rome vaincue, Schena-Didier Érudition, 1998; Ibrahim ou l'Illustre Bassa, Schena-Presses de l'Université de Paris-Sorbonne, 2003. Come novecentista, ha lavorato e lavora sulla poesia, sul romanzo e sul viaggio in Oriente. Dirige, all'Università di Genova, un gruppo di ricerca sul romanzo dell'extrême contemporain, i cui lavori sono stati pubblicati in Stratégies narratives 2. Le roman contemporain (Schena-Presses de la Sorbonne Nouvelle, 2003) e, per citare solo un'edizione recente, Trois études sur le roman de l'extrême contemporain: Marie NDiaye, Sylvie Germain, Michel Chaillou (Schena-Presses de la Sorbonne Nouvelle, 2004).


L'INARRESTABILE FLUSSO DELL'IMPERMANENZA

Nota di lettura di Valeria Serofilli a
Impermanenza (Bandecchi&Vivaldi, Pontedera, 2008) di Rosa Galli Pellegrini.

Il volume di Rosa Galli Pellegrini è pervaso di cultura reale e concreta, cose viste e oggetti fatti pensiero e viceversa, di conoscenza del mondo incamerata con cura, archiviata con passione, mai rimossa o dimenticata. C'è cultura ma mai sfoggio, un'esplorazione lucida ma non aliena alla sorpresa, all'elemento scardinante e apparentemente illogico dell'emozione.
La prima a sorprendersi appare proprio l'autrice che si lascia condurre dalla forza dei versi come una viaggiatrice che si affida alla più folle e quindi alla più saggia delle guide.
Quella che mostra angoli inusitati, le porte che celano, dietro barriere d'ombra, prospettive nuove o almeno differenti. E' una poesia sui generis, e, in un'epoca di sovrabbondanza stereotipata, non può che essere un pregio. E' originale il passo, il ritmo: parte piano, quasi in punta di piedi, su segmenti che appaiono prevedibilmente geometrici. Poi scarta e ribalta visioni e concetti senza, è bene ribadirlo, salti mortali giullareschi, ma con una spontanea riflessione malinconica priva di amarezze assolute e disincantate. Piuttosto con una gioia del ricordo e della speranza, mai insulsa, sempre motivata. Si veda al riguardo la lirica "Semmai" :

(….)
L'amore che è folle
immaginazione fantasia
l'amore che ti dà allegria
dovresti sapere che non è più
cosa per te

Eppure è così semmai
ascolta pure se ti va
e lasciati dire da chi vuole
dovresti sapere che non è più
cosa per te

(....)


Anche il lessico è vario e ampio, uscito a piene mani come un pittore che si arroga il diritto / dovere di utilizzare tutti i colori che riesce a vedere e a percepire nel proprio mondo emozionale.
Con tale feconda ricchezza di spunti e curiosità, perfino la coscienza dell'impermanenza, del carattere fugace, fragile, temporaneo, transitorio e passeggero di ogni vita e di ogni pretesa di lasciare traccia, segno, presenza, diviene paradossale ma tenace asserzione di forza.
Il particolare vocabolo compare in forma di epiteto nelle liriche "Capita", "Appesi al filo" e "Vorrei dare a te", mentre si presenta infine come sostantivo in "La poesia".
In "Appesi al filo" si legge:

<<(…) e poi inatteso sboccia un fiore /
(…)
Lo separi con cura dalla ganga
fiore effimero, fiore inesistente
impermanente.>>

mentre da "Vorrei dare a te":

<<Vorrei dare a te l'oggi / effimero
e impermanente (p. 63).>>

Nell'attimo dell'esistenza c'è, se l'occhio e la mente sanno spaziare e assolvere il più possibile la molteplicità delle forme e delle sostanze, un legame possente a ciò che è fluido ma proprio in virtù di questo è fascinoso a ammaliante.
E' il tono il punto di forza di questo libro, l'approccio abilmente collocato tra immediatezza ed elaborazione, spontaneità e sottotono ironico che rivela bellezze reali e fatuità, la verità e il suo contrario.
Un esempio tra i molti possibili è contenuto nell'emblematica lirica "La Cittadella", in cui dietro il resoconto di un apparentemente normale giro turistico si trova un'allegoria dell'arte dello scrivere: quel salire ansimante scoprendo gradino dopo gradino ciò che si cela al di là delle parole e quanto dolore ci sia dentro i ninnoli dei venditori di souvenir.
Fa riflettere e sorridere amaramente la richiesta della turista canadese che vorrebbe acquistare una scialvar bianco, senza sapere che "non ci sono scialvar bianchi / solo neri sono, e coprono le gambe storte / in ginocchio a raccogliere il mais.

<<A valle sapeva occultare bene le cose
la piazzetta astuta
la piazzetta bianca
(…)
i versi del poeta viaggiatore
sul muro bianco. E brava
la piazzetta!

Poi iniziammo a salire
il fiato sempre più corto.

Il solito un po' più misero
più piccolo bazar.
Il povero vendeva le ciambelle
il commerciante le gonne misura maxi
il furbo le spezie aromatiche.
Cercava uno scialvar bianco
quella di Toronto, così carini così sexy,
cara signora, non ci sono scialvar bianchi
solo neri sono, e coprono le gambe storte
in ginocchio a raccogliere il mais>>

(da "La Cittadella" p.36)


Ma prosegue la salita, tra bellezze che mozzano il fiato e presa di coscienza di millenarie ingiustizie e assurdità. Resta, come premio o beffa finale, la tenace presenza della ragazzina, un'illusione d'amore. Forse è lei la poesia: magra, ostinata, con le maniche del maglione lunghe fino a coprire le mani. Ma a colei che ci ha raccontato le tappe di questo breve ed eterno viaggio, non resta alla fine che una riflessione, aspra nella sostanza ma in grado di dare dimensione di esperienza all'essere, al moto, al fluire:
<<Era forse il purgatorio / o scontavamo fin d'ora i nostri peccati?>> (da "La Cittadella").
E ancora, la poesia è materia per la vita, come recita la lirica "La poesia si fa", è un poieo, un manufatto che viene alla penna se lo si chiama inchiostro, all'occhio della mente se si fa ricordo (in "Una giacca di velluto blu a coste" di pag. 49).

Una poesia ricca e originale, mai banale quella di Rosa Galli Pellegrini, con un senso amaro, ribadito con chiarezza:

<<il resto poi non è
né benessere né sofferenza
è solamente impermanenza>>


recita la poesia "Capita", per molti aspetti emblematica in quanto riassuntiva della raccolta nel suo insieme (dalla prefazione di Luigi Surdich).
Ma accanto a questo, a fianco dello scorrere inesorabile, c'è l'occhio del poeta che, per abitudine, destino o necessità. coglie istantanee, le rielabora, confronta mondi reali con mondi ideali, ride, impreca e riplasma la verità, dando forma e respiro a impermanenze pensabili e percepibili, profondamente umane.



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