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DEFELICE: cantore e censore del malcostume italico
Apparso su in Pomezia-Notizie Anno 12 - (Nuova Serie) - n. 8 -Agosto 2004 -

Domenico Defelice nel poemetto satirico Alpomo, attinge alla forma classica per compiere, nelle vesti di cavaliere errante del 2000, un'opera di denuncia nei confronti dell'<<Italia, corrotta, /(…) tutta / un'immane bancarotta // >>.
L'Italia della prima repubblica e delle tante acrobazie politiche la cui fine è sancita dalle elezioni del ‘94; l'Italia nello stadio terminale del processo degenerativo, certificato da Tangentopoli: un'Italia allegoricamente incarnata dalla bella Alpomo, adorna del mantello tricolore e della corona turrita sulla chioma d'oro.
Il programma di attualizzazione parodistica del romanzo epico – cavalleresco è annunciato fin dalla copertina del libro, in cui la memoria del mondo classico riecheggia in forma di ricostruzione onirico – scenografica; il surrealismo metafisico dell'opera pittorica di Mallai permea anche i sei canti in cui è articolato il poema, popolato da fantocci e "manichini”del teatrino politico.
Improntata ad un'autentica poeticità è la scena del volo del cavaliere Ermelindo a cavallo dell'unicorno dalle lunghe ali, che ci riporta al viaggio di Astolfo sulla luna in groppa all'Ippogrifo.
E ancora Rabicano e Baiardo destrieri di Astolfo e Rinaldo, tornano in scena nei rinnovati panni di Moro di Alpomo e di Sballo, dispettoso ironico e dissacrante destriero di Ermelindo:

<<Il cavallo brucava in mezzo al prato.
Alzò il capo e nitrì contrariato.
Fece una piroetta (…) >>.
E Alpomo, bionda come l'Angelica del Furioso, per l'intraprendenza e l'ardore con cui inforca il suo destriero ricorda piuttosto Bradamante.
Se Leopardi nella satira politica dei Paralipomeni scrive dei suoi tempi ma, da romantico, non si fa interprete di tale realtà, Defelice al contrario offre ai lettori un quadro certo non conformista degli eventi socio – politici d'inizio anni '90.
Il poemetto che <<drammi non vuol ma solo divertire >>, si pone così come amara e consapevole parodia della caduta della Prima Repubblica, articolata in suggestive e surrealistiche scene e in intensi dialoghi presenti in ogni pagina dell'opera quali, ad es., quello del secondo canto degno dell'Alceste:
“Non t'amo.” / “Tu sarai mia!”/ “Giammai meglio la morte”./
E come l'Ariosto, anche Defelice è partecipe della realtà, così da trasformare il suo poema in romanzo contemporaneo, vale a dire delle passioni degli uomini del proprio tempo, uomini che insieme alle molte speranze sfiorite, credono in un'Italia più disincantata e cosciente, che vuole passare dalla repubblica dei partiti a una repubblica dei cittadini formata sul modello occidentale delle democrazie funzionanti.
Viene così da unirsi al grido conclusivo della folla che eleva Ermelindo a ruolo di proprio salvatore:

”la democrazia, la vera,
non è affatto strafottenza;
non è muoversi a piacere
di corrotti e delinquenza.”
“Oh, Ermelindo,
Ermelindo salvator!
Assai dolci i loro strilli
Sono balsamo al mio cuor!”
“La democrazia, la vera,
è continuamente agone
tra gli onesti e gli orgogliosi
di se stessi e la Nazione.”

Affermazione che nonostante il passare degli anni conserva la propria efficacia e attualità.