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Chiedo i cerchi
Su Chiedo i cerchi di Valeria Serofilli
Ormai da alcuni anni seguiamo, diremmo, con gioia interiore, la produzione poetica della nostra amica e collega Valeria Serofilli, cercando di mettere in luce, come possiamo, alcuni aspetti della sua poesia. Il suo è uno stile che negli anni è rimasto lo stesso e, nello stesso tempo, ha vissuto più vite riuscendo sempre a rinnovarsi e a sorprenderci.
Gli strumenti espressivi dell'Autrice, che abbiamo cercato di mettere in luce già in altre occasioni, sembrano ormai avere raggiunto una straordinaria duttilità capace di scoprire nuovi orizzonti. Ci riferiamo alla musicalità inesauribile delle allitterazioni che sembra fondere le parole in un crogiuolo di nuovi significati, mentre i legami propriamente sintattici vengono superati da accostamenti arditi che sorprendono di continuo.
In questa sede vorremmo soffermarci su un significato complessivo che assume ai nostri occhi la raccolta, partendo da un fenomeno linguistico, che tra gli altri, ci è parso assai significativo: i ruoli del soggetto e del complemento oggetto risultano spesso non immediatamente definiti e qui, nella poesia di apertura, ci viene fornita una importante chiave di lettura: Urga ti prego il brivido parola, è il verso che divide in due parti Gli ulivi abbacinavano il sentiero: è il brivido che incalza la parola o il contrario? In ogni caso abbiamo come un grido che invoca la rivelazione dell'essere da parte della poesia. Ecco, la raccolta, nel suo insieme, ci è parsa un intenso dialogo con l'essere, ma anche con la stessa poesia che è chiamata ad interrogarlo.
L'ispirazione viene all'Autrice dalla lezione montaliana degli Ossi di seppia: essa è stata profondamente interiorizzata ed è esplicitamente dichiarata nella lirica di apertura, Chiedo i cerchi, che dà il nome alla raccolta ed è lasciata isolata ad esergo, così come lo era In limine di Montale. Mentre, però, in Montale abbiamo la rinuncia a penetrare il significato della realtà, nella Serofilli ci pare di ravvisare una indomabile, seppur gentile, volontà di conoscerla. Continuando con il parallelo montaliano, mentre il grande Genovese poneva subito dopo, proprio all'inizio degli Ossi, i suoi umili Limoni, nella silloge della Serofilli troviamo la visione abbacinante di ulivi che appaiono come una rivelazione mediterranea dell'essenza e nel loro rigoglio asciutto materializzano la forza della poesia. Torneremo tra poco su questa, diciamo, combattività della poesia della Serofilli, dopo cioè aver rilevato che altre ispirazioni sono espressamente dichiarate dall'Autrice nella sezione Omaggi, dove troviamo tributi significativi a Campana, Neruda, Luzi, Fiumi e Pasolini. Ci è parso poi di riconoscere nell'immagine del poeta appartato sul canto di un focolare in Creativo - Poeta è colui la rappresentazione che Ungaretti forniva di se stesso nella celebre lirica di guerra Natale.
Infine, infine, come non ravvisare nell'organetto della omonima lirica il suono degli organetti di Barberia di Corazzini o le garbate provocazioni linguistiche di un Palazzeschi in certe ironiche iuncturae di versi come Ripetizioni di greco contromano / suggestive azioni da gigante nano (Di riflesso).
Torniamo però all'indagine interiore dell'Autrice: abbiamo creduto di individuare un motivo, o, per meglio dire, un'immagine interiore, che appare in tutta la raccolta e ne costituisce il filo conduttore: si tratta dell'acqua, rappresentata in ogni suo stato e forma. Essa ci è parsa il simbolo, da un lato, dell'essere che attende una rivelazione e, insieme, dell'arte poetica dell'Autrice che cerca di renderlo accessibile.
Nella lirica di apertura, Chiedo i cerchi, l'acqua appare stagnante, ma viene subito percossa da un sasso che genera onde e la fa increspare: è il gesto simbolico dell'Autrice che dichiara subito di non rassegnarsi allo status quo della realtà. L'acqua è la metafora dell'enigma che costeggia chi si attarda per le vie di Genova, piene dei distratti rumori di una vita affaccendata, ma anche vicine al mistero del mare che si scorge oltre i moli del porto (Genova, omaggio a Dino Campana).
L'acqua è la prigione necessaria del pesce rosso, un oggetto quotidiano che ricorda a noi il limite della vita umana e il suo agitarsi spesso senza speranza di trovare risposte (Pesci rossi, omaggio a Lionello Fiumi).
L'acqua è, però, anche la corrente dell'Arno, a cui l'Autrice dedica la sezione centrale del suo lavoro, Acqua d'Arno, appunto. L'Arno diviene allegoria della storia e del suo vorticare misterioso, ma anche testimone silenzioso di guerre e delitti che hanno sempre accompagnato il divenire delle vicende umane sulle sue sponde (L'Arno ascolta): il fiume appare l'unico essere a conoscenza della verità rimasta nascosta. L'acqua torna poi nella sezione successiva, non a caso in un trittico di liriche, che, a nostro avviso, confermano quanto abbiamo cercato sin qui di mostrare. In Temporale d'estate a Terracina abbiamo una situazione molto simile all'Arsenio montaliano. Un nembo di tempesta fa fuggire tutti i bagnanti dalla spiaggia e questa è una occasione preziosa per l'io lirico. La solitudine conseguente alla fuga della folla chiassosa e inconsapevole lascia libero l'io di cogliere l'istante rivelatore: Solo io a cogliere quel raggio / io soltanto ad intercettare un varco, e subito dopo ecco un mezzo da spiaggia, un po' goffo, che torna a riva: Il patino ritorna dal suo giro / d'acqua / e acqua a rallentarne la corsa. Si tratta per noi di un oggetto messaggero che torna dal nostro elemento simbolo dell'essere a rivelare il suo mistero.
La ricerca sembra placarsi e risolversi nelle due liriche successive: Ora che il lago e L'odore della pioggia. Nella prima l'acqua è un immenso lago che si insinua nella terra e se ne ritrae, ma è, anche qui ed esplicitamente, la poesia, simboleggiata dal chiasmo, che cerca di rivelare: Ora che il lago attende non carezze / sprigiona i vapori eburnei / e le incertezze // Lascia che il chiasmo apra parole nuove / di lidi scoscesi. Nella seconda, invece, la pioggia, è, sì, fenomeno atmosferico, che occupa il cielo, ma è anche capace di rivelare inattingibili, e inquietanti, recessi dell'anima: Nuvola di carne, sotto nuvole / vapore / stille acquose // Ed io che ti chiedo amore eterno / senza tregua / litigi in aperto carosello / ora sofferte ad espiare colpe… Tutto l'universo sembra quindi rivelarsi poeticamente nell'acqua, che diviene quasi l'elemento primigenio di Talete di Mileto, che tutto unifica e rende comprensibile, simbolo gentile, ma inequivocabile.
Qui ci fermiamo. Non abbiamo certo preteso di esaurire in queste righe tutti i significati della raccolta: abbiamo voluto fornire ai lettori l'invito ad una lettura non affrettata di essa, magari in riva a qualche placido specchio d'acqua in primavera.
Andrea Salvini
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