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Antonio Spagnuolo, Fugacità del tempo, LietoColle, Faloppio (Como) 2007.

Saggi e note critiche di Valeria Serofilli

Nota di lettura di Valeria Serofilli del volume Fugacità del tempo di Antonio Spagnuolo.


Tutt’altro che fugace il tempo che Antonio Spagnuolo immortala in queste sue nuove poesie. Il tempo, una sorta di limite nella durata, un flusso di coscienza ove la solarità è offuscata dal peso del vivere <<ora che l’intervallo si raccorcia e si annienta l’illusione>>, e dalla consapevolezza della precarietà dell’esistere e del grido del tramonto. Perché <<l’urgenza sgretola il sudore e non concede tregua>>.

Se Finzi, nella prefazione al testo, ha opportunamente rivelato un parallelismo col fiammingo Rubens, a mio avviso è possibile un accostamento anche con il Caravaggio delle opere mature, in cui il maggior rigore compositivo e la nuda semplificazione degli spazi trovano nell’obliquo squarcio di luce, un bagliore, anche se drammatico.
E quel raggio di luce è la poesia. Ma non chiediamo a Spagnuolo la parola che squadri da ogni lato e che mondi possa aprire, perché la sua è una “poesia senza soccorsi”. Almeno a detta dell’Autore.
Perché il soccorso c’è, tangibile ed eterno, ed è la forza salvifica della parola, in grado di tramandare memorie, di frantumare il clamore dell’eloquenza con un sussurro di vita, un alito di realtà contro l’urlo del nulla: come scrive Bertold Brecht solo <<quando il clamore delle macchine dell’uomo si sarà calmato, la voce della natura tornerà a rivivere>>. La voce della poesia, diremo.

L’altro soccorso è l’amore, per l’autore fonte primaria d’ispirazione: <<il filo è teso, ma (…) è il tuo ciglio di tristezza che contorce / nuove rime, / ed i polsi strappano premure / per abolire i farmaci della paranoia>>. Come dice Corneille “L’amore è un gran maestro, insegna d’un sol colpo” anche se la corrosione e la stanchezza si affacciano inesorabilmente: <<Ormai siamo gli amanti arrugginiti: / non più con gesti delicati / e le fiammelle tremanti del consenso, / o il battito frequente delle tempie, / ora parliamo sottovoce rinunciando alle dita>> e <<la stagione (…) nasconde l’immobile pudore e i turbamenti / delle mani stanche>>.
Pur tuttavia <<tu nuda confondi la mia rabbia con le nuvole>>, <<come quando a diciott’anni cercavi i contatti / nelle impronte indistinte (…)>>.

Una poesia che precede il verso, questa di Spagnuolo: torna il valore prelogico delle precedenti raccolte
Rapinando alfabeti e Per lembi.
Non si permette alle parole “di trasportare al guinzaglio pensieri e sensazioni” ma l’autore si attiene piuttosto al principio che la poesia è il traboccare spontaneo di sentimenti possenti che ha la sua origine nell’emozione ricordata in uno stato di calma (prefazione a
Lyrical Ballads, W. Wordsworth).

Per concludere, questa nuova raccolta di liriche di Spagnuolo conferma la sua capacità di espressione sanguigna e vitalistica, ribadendo e rafforzando per parallelismo e contrasto la forza della poesia e dell’amore come fuga dal tempo per combattere il tempo e per porre, in modo paradossale ma risolto e reso possibile dalla poesia, l’infinito contro il finito.




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