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Incontri al Caffè dell'Ussero e Iniziative culturali > Incontri al Caffè dell'Ussero > Incontri al Caffè dell'Ussero di Pisa - Anno 2010
Adele Desideri vive e lavora a Milano. Poeta, saggista e critica letteraria, ha pubblicato due libri di poesie: Salomè (Il Filo, 2003) e Non tocco gli ippogrifi (Campanotto, 2006). Sue opere sono presenti in numerose antologie e sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo e arabo.
Nel 2006 è stata finalista al Festival di Poesia San Pellegrino Terme. Nel settembre 2009 una sua lirica è stata selezionata per i Murales a Diamante (Cs). Scrive per diversi siti e riviste culturali, tra cui L'immaginazione, La Clessidra, La Mosca di Milano. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Ha terminato il suo primo libro di narrativa.
L'intenso percorso dei gelsomini
Nota di lettura di Valeria Serofilli al volume Il pudore dei gelsomini (Raffaelli Editore, Rimini 2010) di Adele Desideri.
Il percorso poetico di Adele Desideri autrice torinese di nascita e milanese di residenza, ospite oggi dello storico Caffè letterario dell'Ussero, è costituito in particolare da alcuni libri dotati di una forte connotazione individuale e di un notevole impatto emotivo.
Faccio riferimento nello specifico a Salomè del 2005, a Non tocco gli ippogrifi del 2006 e a Il pudore dei gelsomini, edito quest'anno da Raffaelli Editore di Rimini.
Ci soffermeremo soprattutto su quest'ultimo libro, senza tuttavia dimenticare le tappe precedenti del percorso letterario della Desideri anche allo scopo di fornire una visione d'insieme il più possibile ampia, lasciando poi al lettore il gusto dell'ulteriore scoperta e dell'approfondimento.
Se nel libro Salomè, edito come detto nel 2005 dalle edizioni "Il Filo" di Roma, l'autrice esprimeva con toni diretti e in buona misura iconoclasti una rabbia densa di ribellioni e di impulsi, non di rado di natura sensuale ed erotica, nel volume successivo Non tocco gli ippogrifi edito per i tipi di Campanotto Editore, è possibile rilevare fin dal titolo volutamente spiazzante, una vena grottesca, surreale, in grado di dislocare su un piano meno esplicito e più ironicamente allusivo, i temi cari alla vêrve e alla intensità espressiva della Desideri.
Lo scarto di tempo che separa i volumi a cui si è fatto cenno, dal recentissimo Il pudore dei gelsomini, ha operato una lenta ma sensibile mutazione, pur nella continuità e nella coerenza di fondo.
Ne Il pudore dei gelsomini Adele Desideri, senza rinnegare le urla e le grida con cui ha spalancato porte ed orecchie, trova un tono più raccolto, intimo, meditato. Quasi a dire, a dirsi e a dirci, che anche il tono elegiaco può essere trasgressivo, se per trasgressione intendiamo tutto ciò che mira ad andare al di là del banale dell'omologato e del globalizzato. Nel mondo attuale la vera eversione è forse la riscoperta del legame profondo tra l'uomo e la natura, così come i sentimenti più semplici ed autentici, la famiglia, i luoghi delle origini e quelli scelti per affinità. Non ultimo, alla base di tutto e al contempo meta ideale, l'amore.
Queste dimensioni non di rado si fondono tra loro, in un tutt'uno. Un esempio fra i tanti possibili si trova nell'intensa lirica Cartaceo di pagina 18, dove l'autrice osserva che:
I petali umettati si chiudono a conchiglia
nello spazio oltre il bosco e la fontanella.
Nei recessi volteggia la tenera foglia
che tu scolori ad ogni sospiro.
Sulla sabbia scrivi il tuo rimorso
al vento affidi la tua protervia.
Sono la pergamena, tu lo scriba.
Particolarmente frequenti e intensi sono i richiami alla figura paterna, indicata come radice antica e salda di vita.Nella lirica Caro Babbo di pagina 49, si mette in rapporto l'incertezza dei giorni con la certezza solida, come il rincorrersi delle stagioni, dell'amore:
Le gambe si inceppano,
l'anima è stanca,
il cuore balbetta,
i giorni si accumulano
il respiro si affanna.
Ma l'amore speso,
come l'uva matura,
colora la vigna e le viti.
Non è da credere tuttavia che questo libro ignori il lato oscuro del mondo. Lo esplora, piuttosto, come in un viaggio di conoscenza.
La lirica Musica nera delle pagine 55/56 inizia con un verso costituito da un solo famigerato nome Satàn e si dipana tra orrori sacri e profani fino al verso conclusivo, Caino e i suoi nati.
Sussiste, come necessario momento, tappa di un percorso di crescita individuale, anche l'attimo della negazione di tutto, in un alternarsi che non annienta e contraddice le invocazioni precedenti all'amore cosmico e familiare, ma semmai ne costituisce una forma differente, consapevole, matura, nella sua coraggiosa negatività. Un po' come il buio è necessario per dare dimensione alla luce. Indicativa in tale ottica è la lirica Le cose di pag. 66.
Ma, nonostante tutto, a dispetto di questa presa di coscienza, i tre versi che chiudono la raccolta contengono una esclamazione densa di una forma attenta ma vivida di positività qualcosa che riassume in sé i tre punti di riferimento della raccolta: il senso del legame con la natura, il viaggio, nei territori del bene e del male, e l'amore filiale e/o sensuale. Il tutto proiettato in un futuro che dal presente ha origine e al presente ritorna, come recita la lirica Testamento di pag.67:
Lascerò tre soli: tra i loro raggi qualcuno
Potrà scorgere un volto amoroso
Celato nel decomposto ghigno.
Valeria Serofilli
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