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Presentazioni al Relais dell'Ussero a Villa di Corliano
Da sinistra: Sergio Berti, Valeria Serofilli e Edoardo Penoncini
Foto: Pasquale Palomba
Nota di lettura(.pdf) di Valeria Serofilli al volume Qui non si arriva di passaggio (Ibiskos-Ulivieri, Empoli 2012) di Edoardo Penoncini.
Il volume Qui non si arriva di passaggio pubblicato da Edoardo Penoncini nel 2012 per i tipi di Ibiskos-Ulivieri nella collana Il Quadrifoglio, con prefazione di Rodolfo Pazzi, costituisce un omaggio vero e proprio alla città di Ferrara.
I testi poetici in esso contenuti sono infatti dedicati alla città e suddivisi nelle due sezioni Musa pentagona e Luoghi della città, a loro volta introdotte dalla lirica “Verso un’altra identità” e dalle due citazioni poste ad esergo.
Ben lungi dall’essere una rigida elencazione prettamente geografica, il testo esplora invece il mondo interiore di chi scrive, inteso come microcosmo. Allo stesso modo la città di Ferrara è rappresentata come città circoscritta, esclusa dalle arterie viarie principali, fuori, da sempre, dalla via Emilia. Posta al centro del mondo, come a riflettere l’ordine celeste ricevendone le influenze, fino a farsi immagine del centro spirituale e poetico dell’io lirico.
Ferrara, quindi, luogo della mente, prima che dimensione fisica e reale.
La dimensione occidentale, in specie italiana delle città, presuppone “Che ogni spazio urbano abbia un centro in cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare, da cui dirigersi e allontanarsi” (come scrive Roland Barthes in “Centrocittà, centro vuoto” ne L’impero dei segni, Einaudi, Torino 1984) e aggiunge che per ragioni storiche, economiche, militari e religiose, molte delle nostre città occidentali sono concentriche nella dimensione reale e simbolica, cioè ricalcano il movimento di senso della metafisica occidentale in base alla quale ogni centro è la sede della verità.
Secondo il pensiero medievale l’uomo è un pellegrino fra due città e la vita è un passaggio dalla Città inferiore a quella superiore.
Ferrara, dunque, un luogo in cui “di passaggio non arriva proprio nessuno” in quanto vi si giunge e si rimane per volontà e per scelta, “città che non ruba solo occhi (…) dove il tempo è sempre passato/ in quello già vissuto“, (da “Qui non si arriva per caso”), in cui “ogni passo ha un senso/ piccolo consenso per cercare la direzione” (da “Quadrivio De Pisis”); di conseguenza luogo di magia ma anche di malinconia, bellezza e galera, rendendo chiunque la visiti e la viva “Prigioniero del sogno della città”, come recita l’omonima lirica di pag. 34:
“(…) transito volo della mente
che scuote che sente / la città a volo
radente / ogni parola metaforica / mente
entra in un sogno contundente “.
(da “Prigioniero del sogno della città”)
Ferrara, luogo di nebbie e magie che obbliga a guardarsi dentro:
“(…) è la nostra città che si colora nel bluastro arrugginito
di una pietra umida
umidità respirata nella culla
aspirata livida a dare l’immoto”.
(da “Immobilità”)
Ferrara, luogo in cui la bellezza artistica di monumenti, palazzi, strade, (quali Palazzo Paradiso, Piazza Duomo, Torre Marchesana o dell’Orologio, via San Romano), obbligano l’uomo ad elevarsi dalla banalità, privilegio ma anche fatica:
“(…) occhieggia al gemello l’altra muraglia
abbarbaglia il sole cadente
alone soffonde luce di scaglia
uno storno cantilena l’allodola
lontano è un’ aiuola di città
profumo di cotto chiuso da mura”.
(da “Argine /margine”)
Secondo l’analisi contemporanea, per il suo doppio aspetto di protezione e di limite, la città è simbolo della madre e del principio femminile. Come la città racchiude gli abitanti, la donna infatti contiene in sé i figli: da qui l’iconografia delle dee con una corona di mura sulla testa o l’immagine della Madonna della Misericordia.
E chi perde la propria madre-terra Gea, vivo bastardo, come recita la lirica di pag. 25:
“ Ho perso la mia terra vivo bastardo
senza occasioni a fiale di fiele
…
cammino svelto fuori le mura
dove solo mi sfiora una voce ansante
o il pallore di pochi lampioni.”.
E ancora, Ferrara dalle vie come parti di un organismo vivente: “Gli orti tra San Cristoforo e l’ebraico /piccolo polmone biologico” recita la lirica “Via delle Vigne”; “c’è un disegno in tutto questo (…) si sfronda in rivoli questa umanità/ brandelli di civiltà dei quattro cantoni” (da “Patrimonio dell’umanità”); “stretta e umida coi portici scuri/ san Romano s’inventa le atmosfere/dell’inverno e della notte” (“Via san Romano”), e ancora “quando ad un altro sfugge il richiamo/ della estremità/ della casa/ del giorno/ della vita/ della sonnolenza/ povera appartenenza/ una miriade di occhi nascosti ritornano/ alla miriade di gesti” (da “Immobilità”, già cit.).
In conclusione possiamo affermare che questa recente pubblicazione di Edoardo Penoncini conferma al lettore, con intensa chiarezza, che un libro di poesia autentico non può essere solamente una neutra e anodina fonte di informazioni e di dettagli su un luogo, qualunque esso sia. Anche nel caso di questo libro, come è già accaduto in passato con altri lavori letterari dedicati a città e luoghi del mondo, si percepisce in modo netto e chiaro, grazie all'abilità e alla capacità di coinvolgimento dell'autore, il passaggio dallo specifico al generale, dal microcosmo al macrocosmo. Ferrara in questo libro diventa paradigma, fascinoso e misterioso, dell'attrazione atavica dell'uomo per la bellezza e per quel mistero antico costituito dall'attrazione per il mistero, per quelle strade che contengono domande essenziali, sul senso della vita, dell'arte, del destino.
È un libro di rilievo da vari punti di vista: per l'accurata ricerca ed elencazioni di luoghi, personaggi, eventi, e per il senso di affetto autentico che comunica e trasmette nei confronti di luoghi ed edifici che non sono fatti solo di pietra ma anche di ricordi, emozioni, magie, momenti vissuti e immaginati.
Un libro la cui lettura ci trasporta in un luogo pieno di attrattive ma , soprattutto, ci invita a percorrere le vie della nostra interiorità, con forza e nitida partecipazione emotiva. Un libro che, come annota adeguatamente Roberto Pazzi nell'introduzione, ha una sua vis espressiva autonoma e ricava da panorami e osservazioni concrete quello scarto, quella virata espressiva fatta di ricordi e riflessioni che lo colloca di diritto nell'ambito della vera poesia.
Valeria Serofilli
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