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Saggi e note critiche di Valeria Serofilli
LA FOLLE FERITA DEL VIVERE
Nota di lettura di Valeria Serofilli al volume di poesie Inadeguato all’eterno (Felici Editore, San Giuliano Terme, Pisa, 2008) ed altri inediti, di Ivano Mugnaini.
Tutt’altro che “inadeguato all’eterno” il volume di poesie di Ivano Mugnaini, vincitore dell’edizione Premio Orfici – Città di Ponsacco 2008, e pubblicato per i tipi di Felici Editore di Pisa.
La lirica di Mugnaini rappresenta una sorta di prosecuzione della sua produzione narrativa, dotata della stessa non comune capacità di coniugare la forza del sentire con la competenza tecnica, in una sapiente mistura di realismo e immaginazione. E questo già emerge dal titolo, felicemente provocatorio ed inquietante, che se per un verso esprime tutta la limitatezza, la pochezza e l’inadeguatezza umana, se sviscerato si muove entro due poli opposti: il contrasto tra la mortalità, il finito e l’universale, l’eterno.
Tra l’uomo e la poesia. Tra l’autore e la sua poesia. Al centro, a metà strada tra questi due estremi, la lotta contro la ferita del vivere; il pullulante fervore; l’energia creativa capace di agire sulla realtà, ricreandola; il cortocircuito tra la realtà esterna e il microcosmo interno. Perché l’uomo, pur se fragile, a detta dell’autore, sporco, imperfetto, ignaro, inadeguato, è vivo, è un misero ma “pulsante microcosmo” (si confronti la definizione di uomo come piccolo mondo di Democrito, Frammento) con il coraggio di sfidarlo, l’eterno, “il vizio comico del vivere”(1), facendosi cogliere nell’atto recidivo di essere ancora vivo e umano (“Quale amnistia”), facendo sentire il suono, l’attimo del fiato umano all’immenso, all’infinito” (“Per sbaglio, per errore”) “senza cercare / niente di più (…) dell’istante leggero e violento in cui ti senti vivo” (Inadeguato all’eterno).
Ecco che se la silloge prende il nome dal componimento posto in apertura, vero manifesto di poetica sembra piuttosto la lirica “Per sbaglio, per errore” che tratta della folle sfida all’eterno lanciata dal Conte di Lautréamont, pseudonimo di Isidore Ducasse. Questi, ricevuta la vita con l’atteggiamento di chi subisce una ferita, chiede che il creatore ne contempli il crepaccio spalancato.
Scrive l’autore: <<E’ questo, forse, il patto tacito, l’impegno, / il contratto non scritto firmato da ognuno / all’atto di nascere>>. L’immagine e la tematica della ferita e della lama compaiono già in un precedente componimento poetico, inedito, dell’autore, dal titolo “La ferita” appunto, in cui più che il vivere, è l’amore a generare dolore e a incidere la carne di desiderio.
Si confrontino i versi:
<<Eppure ha sentito la forza nel respiro della carne/ lacerata, di sfidare l’eterno, la vita, (…) riceve la ferita (…) mostrando il crepaccio con orgoglio / come un frutto rosso, come un figlio>>
[da “Per sbaglio, per errore”]
con i seguenti versi tratti dall’inedito sopracitato:
<<Eppure guardando il taglio / la cicatrice sul mio dito anulare / vera di pelle che ancora pulsa / brucia (…) sorrido ancora >>
[da “La ferita”, poesia inedita del 2002].
Più oltre la lirica “Per sbaglio, per errore” recita ancora:
<<Ma forse la domanda contiene già in sé / la muta risposta>> là dove il “ma forse”, e “l’eppure” dell’inedito, come il “pur dei Sepolcri, ne attenuano foscolianamente, l’azione corrosiva, in parte riscattata attraverso il meccanismo della resistenza al dolore e di una salvifica ironia.
In un altro inedito di Mugnaini è l’aculeo e non la lama di un coltello il soggetto principale (si confronti “L’istrice”, inedito del 2002).
E’ dall’istrice come dal piccolo girino che impariamo ad osare e a volare alti:
<<Forse solo il minuscolo girino / (…) ha capito il senso di queste / acque basse (…)>> (da “Alto sulle acque”).
Una sorta di correlativo oggettivo di eliotiana memoria, quello di Mugnaini, in quanto i personaggi e le situazioni sono elementi mai casuali ma selezionati per il significato che veicolano(2).
Alcuni esempi:
<<Capita, fatalmente, magari mentre / mangio una pizza in un locale affollato, / di pensare per cosa vivo: (…)>> (da “Capita, fatalmente”); “Una frase d’amore (…) che mi faccia alzare di scatto, folle/ come non mai>>
(da “L’eterno ritorno del dolore”).
Poesie mature queste di Ivano Mugnaini, in cui la vita ci si mostra in tutta la sua ironica, folle, saggezza, nella sua “dilagante sana ironia della speranza” (per dirla con Antonio Spagnuolo).
L’imprevedibile, illogica, folle e saggia esistenza che tuttavia Mugnaini ci invita ad amare(3).
Il tema della follia vera o presunta caratterizzava già l’opera prima dell’autore, dal titolo Controtempo (Otma Edizioni, Milano, 1997)(4).
Poesie dai versi asciutti, <<eretti a sfida, come fiori protesi a vincere le ingiurie>> (R. Fanecco), queste di Mugnaini, che si alternano a componimenti di più vasto respiro, simili a brevi racconti. Si vedano in particolare “Amore è dio di pace”, “Se questa tregua inattesa del tempo”, “La notte – A Dino Campana”, che ci riportano a Pavese e a Calvino.
Per concludere questa recente silloge dell’autore, per il suo valore e la sua validità, si pone a ulteriore conferma della complessità ed esperienza totalizzante sua propria, a ulteriore testimonianza della “voce di razza” (R. Fanecco) che ci dice la vita coi disincantati occhi dell’età di mezzo ma con il linguaggio universale della vera poesia.
Note:
1. Così scrive Mugnaini, parafrasando la definizione di “vizio assurdo” proposta da Pavese.
2. Si confronti al riguardo quanto scrive G. Lucini in Poiein.
3. <<Una realtà a volte beffarda, imprevedibile, illogica e folle ma che tuttavia va amata>>: dall’articolo “Il dubbio”
apparso sulla rubrica Panoramacongeniali del sito della Bompiani.
4. Il poeta è “un vero pazzo o un pazzo vero”, evidenziava Mugnaini in Controtempo e ancora <<ho bisogno della
tua follia / accarezzata da sorrisi di saggezza (…) >>.
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