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Presentazioni al Relais dell'Ussero a Villa di Corliano
Nella foto: Valeria Serofilli, Paolo Stefanini e il chitarrista Sergio Berti
Nota di lettura di Valeria Serofilli a Grüß Gott o di Paolo Stefanini (.pdf).
Un trionfo della parola e della testimonianza attenta e puntuale di viaggi reali e immaginari questo lavoro di Paolo Stefanini in cui risuonano, fin dal titolo, gli echi del montanaro addio germanico Grüss Gott, in un’attualizzazione della quotidianità percepita e registrata sia per quanto riguarda le emozioni individuali che i richiami letterari.
Già nella lirica d’esordio “Marina’60”, riecheggiano i versi ariosteschi sul piano della metrica come su quello dell’andamento ritmico. Non si tratta tuttavia di una mera imitazione dei modelli classici ma di un mezzo, questo dell’autore, per potere esprimere allo stesso tempo la propria ammirazione nei confronti di questi modelli letterari di elevato valore ma anche, con un certo distacco e filtro letterario, l’osservazione del mondo attuale, su cui s’innesta la raffinata ironia tipica di Stefanini.
Sempre analizzando la poesia che apre la raccolta, troviamo altri spunti di riflessione e caratteristiche tipici dell’intera produzione stefaniniana quali il gioco di parole, in cui lo stesso vocabolo assume più significati e valenze: facendo riferimento al titolo della lirica stessa, marina può indicare sia la nota località marittima presso Pisa che una ideale destinataria; pratica, questa, tipica di vari autori tra cui spicca tra gli altri Montale che disseminava i suoi testi di riferimenti polisemici:
<<Dopo che i sette mari, ho navigato
e bagnato mi sono
in baie atolli e rade
di stampo finto tutto organizzato,
risento il tuo profumo
(…)
Avevi dì migliori alle tue spalle
allora si diceva -
oggi forse di più, Marina mia.>>
(tatto da “Marina’60”)
Oltre a destinatari fittizi, vi sono anche figure importanti dal punto di vista affettivo della vita reale dell’autore quale il piccolo nipote Geoge Ranieri nato dall’unione della figlia con l’irlandese Mc Kinley. Figlia di tanto padre che l’ha cresciuta facendo suo il principio di Cervantes secondo cui "Visitare terre lontane e conversare con genti diverse rende saggi gli uomini”:
<<Par che tu dica dietro a quel sorriso:
“qui si compendia più di mezzo mondo,
ben profonde e lontane ho le radici”.
Oh pianta nuova!
Cielo Tirreno con cielo d’Irlanda
Etrusco mare con gelido pònto
d’Arno e di Shannon han fatto un solo rivo.
Eccoti a noi!>>
(da “Ode per George Ranieri”)
Nel componimento il nome George suggerisce all’autore la rievocazione delle gesta del Santo eroe contro il drago mentre il cognome, il Santo protettore della città di Pisa, appunto San Ranieri:
<<Con le tue larghe spalle cacciatore
di malèfici draghi già prometti
da grande diventare, piccolo George
(…)
e tu Santo Ranieri a camminar
sicura aiuta!>>
(da “Ode per George Ranieri …, cit.)
Questa coesistenza tra personaggi di fantasia e in carne ed ossa è un modo ulteriore per confermare l’intreccio tra scrittura e dimensione biografica.
Riferimento che riguarda personalmente la scrivente, in quanto l’autore dichiara di attingere più volte alla mia produzione poetica come nel caso della lirica “Inchiostro” di cui sono autrice e a me particolarmente cara contenuta in Amalgama (puntoacapo Editrice, Novi Ligure, 2010).
E anche Stefanini fa riferimento all’Indovinello Veronese (VIII sec. d. C.), il più antico testo volgare italiano di carattere letterario, del quale dopo aver scritto la lirica ho scoperto la correlazione tematica col testo “Inchiostro” che ha costituito una delle tracce per la sezione Poesia Singola a tema della scorsa edizione del Premio Astrolabio.
<<In quel tempo a fatica feci coltro
d’un cuneo di legno
che nella terra a forza trassi in solchi.
(…)
Distanza immensa ha mietuto l’aratro!
Nel tempo delle macchine
séguitan storia e canto e ancora stille
d’inchiostro primigenio
attingo da quel solco sempre vive.>>
(da “Solchi”)
In questo contesto mi piace fare riferimento anche ad altri due autori a cui Stefanini ha reso omaggio, nello specifico allo scrittore Ubaldo De Robertis e, nelle arti figurative, alla scultrice Marilinda Bria:
<<(…)
Sollèvati, mostra
diva di bimba leggere
e plasma materia per me.
Il fango trasforma il metallo,
con mite carezza modella
tu l’alito l’ombra la luce.>>
(da “Sul bronzo la sapienza del Desiderio,
omaggio alla scultrice Marilinda Bria”)
<<Io sono qui per voi pronto a svenarmi
a spremermi in un succo dolce, amaro
o come a voi parrà.
Ma di sangue si tratta, su, per Dio!
E voi…
voi fate d’ogni cosa un gran balletto
e intorno spiscettate mellite
mellite urine.>>
(da “La rivolta del Poeta, Omaggio al poeta Ubaldo De Robertis”)
Questo libro di Stefanini è anche una sorta di diario di viaggio con varie istantanee in cui il percorso ispira riflessioni esistenziali legate all’attimo descritto, ma anche di più ampio respiro.
La descrizione del paesaggio fornisce dunque un pretesto per l’analisi metaforica di elementi di particolare significato sia per l’autore che per il lettore.
Ecco che dunque luoghi molto diversi fra loro come Malta, il Carso, Pechino, Poitiers, Praga, la Baviera, vengono accomunati da un sottile e funzionale fil rouge.
Altri luoghi non reali ma di particolare valenza simbolica, esplorati non dalla mente ma dalla memoria, sono costituiti dall’Eden e dalle rotte del poema omerico che ha fatto del viaggio un paradigma esistenziale: l’Odissea, tenendo presente l’interpretazione dantesca dell’episodio d’Ulisse, con la sua profonda e sofferta umanizzazione dell’eroe mitologico che riflette sul senso del proprio viaggio interiore a specchio dell’esteriore.
Oppure, estendendo il discorso in una dimensione più moderna, come dice il poeta francese Du Bellay: <<Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, / O chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone, / Che poi tornando esperto e ricco di ragione, / Il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!>>.
Il Fubini vede nell’Ulisse dantesco non la condanna moralistica dell’orgoglio ma la celebrazione della sete di conoscenza e insieme l’affermazione della limitazione delle capacità umane.
Anche il nostro autore sembra concentrarsi soprattutto sulla fragilità dell’eroe che ritorna vecchio e stanco alla propria patria ed è ignoto e sconosciuto a quelli che erano il suo stesso popolo e la sua stessa gente. Tuttavia, dopo la necessaria lotta per ristabilire la giustizia, compare un senso di purificazione, di riscatto e di armonia.
<<(…)
Dopo che l’acqua e il fuoco han terso il mondo a nuovo
dita di rosa torna dolce Aurora dall’incubo
Itaca a risvegliare la vita a far fiorire.>>
(da “Il ritorno di Ulisse”, liberamente ispirata al canto XXII dell’Odissea)
Anche il viaggio del nostro autore, come quello di Ulisse, costituisce un percorso di conoscenza finalizzato al tentativo di ritorno nel proprio mondo, tra le proprie riflessioni e consuntivi, anche se l’autore, come Ulisse, è orientato verso nuove prospettive sia di scrittura che di tragitto perché, facendo mioil noto aforisma Seneca, la vita senza una meta è vagabondaggio.
Valeria Serofilli
1. M. De Cervantes, El coloquio de los perros.
2. J. Du Bellay, Les regrets.
3. M. Fubini, L’Ulisse dantesco in Critica dantesca, Antologia di studi e letture del Novecento, a cura di G. Bárberi Squarotti e A. Jacomuzzi, Editrice SEI, Torino, 1977, p. 284.
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