Il primo incontro ha sempre un sapore particolare ed una particolare tensione.
Mi piacerebbe perciò interloquire su due poesie:
“Eclisse” che l’autrice stessa interpreta come fusione amorosa ed accostamento filmico di sole che si fa luna e di più spiega che lei scrive sempre “da un giorno d’eclisse” costantemente immersa, cioè nell’atmosfera del magico momento nel quale “sole a mezzogiorno sposò luna / per fondersi in eclisse”;
Ed inoltre “Mare” con la quale l’autrice intende costituire un’allegoria dell’ispirazione poetica.
Queste due poesie fin da quando ebbi occasione di leggerle in Acini d’Anima, raccolta prima dell’autrice si sono fuse nel mio animo come non più dimenticata iniziazione e rivelazione di un momento panico di conoscenza e di ispirazione mediterranea e classica.
Per esprimere la forza con la quale l’amore si presenta a Saffo, così si scrive nella traduzione di Salvatore Quasimodo:
“A me pare uguale agli dei / chi a te vicino così dolce / suono ascolta mentre tu parli // e ridi amorosamente. Subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda e la voce // si perde sulla lingua inerte. / Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, / e un buio negli occhi e il rombo / del sangue alle orecchie. // E tutta in sudore tremante / come erba patita scoloro: / e morte non pare lontana / a me rapita di mente.”
Ho sempre avuto impressione che questa pur magnifica traduzione sacrifica irrecuperabilmente la prima parola del testo greco che dice semplicemente “fainetai”. Appare. E’ l’irruzione della luce divina. Immediata e semplicissima. Tutto è luce e Saffo stessa si sente divina, perché rapita dal dio.
Un primo incontro ha sempre qualcosa di magico e di indimenticabile. Dunque queste due poesie della nostra autrice mi sembrano quasi un tutt’uno che non ho più potuto dimenticare anche se la Serofilli ci ha poi donate tante altre immagini poetiche.
“Eclisse” stabilisce un rapporto luce ombra perché “Solo fu il momento che li strinse / “l’una” (luna) “all’altro:” / quando sole a mezzogiorno sposò luna per fondersi in eclisse”. Versi nei quali le raffinate concordanze dei suoni raccolgono felicemente la fusione nella quale il sole si veste e si rispoglia di colore.
“Mare” è il contro canto che nella concezione del mondo classico lega l’aria la terra il fuoco e l’acqua.
L’acqua si presenta nel testo come tavola nella canicola estiva “ma a spirare di brezza / ti spumeggi / e cresta ti si increspa. / E se il vento incalza… inizi la tua danza… poi affranto distendi le tue spoglie lungo il ciglio e se mano ti sfiora timido ritrai l’onda come fa la pudica mimosa, così come l’ispirazione che a cuor bisbiglia e l’animo da quieto / turbina e poi sfavilla per cadere sfinito / ed infine morire in un lungo / interminabile sbadiglio”.
Lo sbadiglio congeda la fine del momento magico quasi sentendone la noia e l’incompletezza.
L’esalazione liberatoria interminabile prepara l’ispirazione fisica e poetica che inevitabilmente tornerà. Com’è del mare.
Nella sua ultima prova Nel senso del verso la nostra autrice riprende il suo canto in quattro scansioni:
“Liquida anch’io / rapita mi volgo” (dalla sezione “Oltre”).
E nella sezione “Ebbra” si legge “Se tutto è inganno / inganno sia / perché è questo / il più dolce annegamento!”.
E ancora da “Ebbra” il testo “Sapide parole” lampeggia di dionisiaca felicità e di dissacrante ironia: Sapide parole / fra la nebbia // sole: disfatto letto a misura // del non detto!”.
Di quest’ultimo impegno poetico che per adesso arresta ma non conclude la vena dell’autrice mi da commozione l’esergo che richiama (Odissea 22, 347) le parole del poeta Femio.
Era il momento della verità. Ulisse stava per ucciderlo e quando si riguarda dal momento finale si spoglia il tempo di ogni vacuità. Per il poeta conta la nativa libertà e la nativa originalità, perché nessuno può dare ad altri la poesia o il modo di farla. Non può essere insegnata ma soltanto trovata.
La seconda parte della risposta di Femio è però una dichiarazione di umiltà, “un dio tutti i canti mi ispirò nel cuore”.
Una più attenta traduzione di questo testo di Omero potrebbe essere la seguente: “nessuno mi ha insegnato come far poesia ma per volontà di un dio tale è la mia natura e l’essere mio che in sé racchiude e sa i più diversi canti”.
Alla commozione di una comune convinzione si aggiunge la constatazione che proprio così si connota tutto il fare poetico della nostra Valeria Serofilli.
Alberto Caramella