Sera -
Bianca dove la marina è docile
i tuoi piedi hanno reso friabili
gli scogli della mente.
Ripiegate le ultime scelte
ho cognizioni che attentano al mio sguardo,
fioco ristoro divelto dalle arsure.
Tra gli squarci il lembo di un mondo intorpidito
in vibrazioni che mi incanto a guardare,
strappi oltre il destino
ove perdura il dado di un pudore errabondo.
E il pensiero va a un'altra: disattenta in lontananza,
le cui narici feline mi raccordano il riflesso.
Mentre le stanze solcano gli spazi
sempre imprigionati alla mia sera.
*
- Sospetti -
Qui nelle unghie hai lasciato l'ultima ripresa,
occasione alle trame dei secondi.
Tre volte rimandammo ogni sospetto
al dondolio della testa, frenando la fuga delle nebbie,
ricucendo partiture di stanchezze e sospiri.
La tua verità trasforma le pupille
nelle arroccate sirene, nei prodigi
delle vagabonde promesse, quasi accadimento
per faville di precarie avarizie.
Innamorarsi è facile:
slabbrare i connotati è l'ultima attenzione
dello specchio che chiude il mio catalogo.
*
- Ombre -
Larghissime visioni da ubriaco, tra il fardello ed il cielo,
le parole non mie , quasi teatro dentro le religioni
ad ascoltare il grido della guancia scavata.
Entro la maschera schizzano distimìe dalle mie labbra
per quel piccolo gioco che mi rende invisibile:
ecco il mistero delle mani protese per cogliere
le memorie ed i prodigi d'una stravaganza.
Pampini capricciosi nel tuo ventre
intrecciano frammenti, ed il mio calice
trema ancora una volta in quell'attesa
che il mistero raggira fra le costole.
In cambio non mi stancherò di rotolare nell'ombra,
dove senza posa, impazienti, lasciamo scivolare
la porpora delle nostre vecchiezze.
Goccia a goccia eccomi tagliato alle giunture
per nascondere i versi di una musica improvvisa:
la mia illusione nel vascello variopinto del tuo seno.
*
- Il tuo scrigno -
Hai gli occhi pieni di sterline.
Scagli la mia cifra alla perfidia approssimando dubbi.
Assurdo del tuo ciuffo corrompo forme
oltre le ascelle del silenzio.
Guai a cimentarsi con i focolai di rosmarino,
di salvia, o il paradosso.
Sbuccia l'ombelico estroflesso
catturando dalla scorza l'artificio
dei tuoi spazi ed azzanna la mente
il merletto, il pube impietrito, il filo d'erba
che lentamente acconsente.
Sconnessa a sovvertire,
e mi corrompe attimo di candela.
Il sublime è rinchiuso nel tuo scrigno.
*
Antonio Spagnuolo