Nota di lettura(.pdf) di Valeria Serofilli al volume Sotto un cielo crudele (Leonida Edizioni, 2014) di Claudio Battista.
La raccolta di racconti Sotto un cielo crudele di Claudio Battista, pubblicato per i tipi di Leonida Edizioni di Reggio Calabria nel giugno 2014, costituisce la seconda pubblicazione dell’autore.
Un cielo che racchiude 5 racconti brevi, di cui l’ultimo da il titolo al volume e tutti dedicati al figlio Lorenzo, come monito e insegnamento di vita.
Di particolare interesse ed efficacia è la scelta dell’autore di affiancare racconti con personaggi assai diversi tra loro per esperienza di vita e caratteri, ma accomunati da trame incentrate su crudeli conflitti, sulla morte, nei suoi tanti aspetti e manifestazioni.
Non si intende qui entrare nei dettagli della trama di ogni racconto, sia per la ricchezza d’intreccio, sia per non togliere al lettore il gusto di scoprirla passo passo tramite una lettura diretta del testo che si articola in brevi e sapidi racconti dal taglio cinematografico.
Un esempio su tutti, il racconto surreale “L’ultima bottiglia”, la storia di un ragazzo che per scommessa accetta di mettere delle bottiglie di birra sulla tomba di un ragazzo morto e che poi uccide il compagno di scuola che ha assistito alla scena:
<<Che cosa hai fatto?>> gli domandò Carlo massaggiandosi le tempie con entrambe le mani.
Daniele si alzò di scatto dal letto e mosse alcuni passi incerti, quasi volesse andar via da quel posto, ma poi tornò a sedersi. Abbassò lo sguardo per sfuggire agli occhi del padre e cominciò a parlare.
<<Sono entrato nel cimitero l’altra notte e ho messo alcune bottiglie di birra sulla tomba di Alberto, quel ragazzo morto in seguito a un incidente stradale perché guidava ubriaco.>> Emise un gemito doloroso, sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi del padre.
<<Era solo una scommessa … non volevo fare del male a nessuno … una cazzata da ragazzi …>> Il gemito si trasformò in un singulto e Daniele incominciò a piangere: <<Non volevo fare del male a nessuno, papà … non volevo …>> e piangendo si gettò tra le braccia del padre.
Carlo lo strinse forte, infondendogli tutto il suo amore e tutta la sua comprensione. Sulle pareti, i volti sorridenti di Michael Jackson e Brad Pitt guardavano la scena incuranti del dolore che univa un padre e un figlio.
Daniele singhiozzava tra le braccia del padre.
Carlo si ritrovò a pensare a quante volte Daniele da bambino aveva pianto tra le sue braccia. Questa volta era un pianto diverso, questa volta Daniele piangeva non per un capriccio ma perché aveva commesso un’azione atroce. Un’azione che suo padre non avrebbe mai creduto potesse commettere.
Il terzo racconto, “Il debito”, anche questo poco attinente alla realtà, come ci narra l’autore, è la storia di un uomo che salva un ragazzo in bicicletta da una morte certa, ignaro che l’angelo della morte era in procinto di prendere l’anima del ragazzo giunto alla sua ora. Rimasto senza cadavere al quale prendere l’anima, l’angelo della morte chiede all’uomo di rimettere le cose in parità, quindi di procurargli un cadavere in cambio di quello che gli ha sottratto. Il quarto racconto si intitola “Un buon padre”, narra invece la storia di un padre che per difendere il proprio figlio da una moglie instabile mentalmente, che minaccia di scappare con il bambino avuto con il figlio, diventa un assassino.
Il cielo di Battista è crudele ma ci piace sognare tuttavia che il tempo faccia dimenticare queste brutte storie (come recita “L’ultimo giorno di Eugenia”) e che la crudeltà presto tramonti lasciando spazio a nuove albe di gioia, come auspica il racconto da cui prende il titolo il libro:
Tre settimane dopo una bambina dai capelli biondi come fili d’oro si avvicina a una panchina. Resta ferma un attimo a osservarla, poi agita la mano destra in segno di saluto. Poi parla, ascolta e sorride. Le sue mani disegnano carezze nell’aria. Parla ancora un po’, sorride di nuovo e saluta mandando tre baci. Si allontana di corsa, con i lunghi capelli biondi che le ondeggiano come spighe di grano al vento, seguita dallo sguardo curioso e un po’ preoccupato della mamma. Quando Francesca raggiunge i suoi amici, la mamma si volta a guardare la panchina, un attimo prima vuota, ora occupata da una giovane coppia. Si parlano, si ascoltano, si sorridono.
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa, 6 Marzo 2015
Nota di lettura(.pdf) di Valeria Serofilli al volume Il tarlo di Ruth (Leonida Edizioni, 2014) di Rocco Sestito.
Il volume Il tarlo di Ruth, edito per i tipi di Leonida Editrice di Reggio Calabria nel giugno 2014, è il primo romanzo di Rocco Sestito.
L’idea iniziale da cui prende avvio l’opera è particolare:
<<Mi chiamo Ruth. Ho trentasei anni. E sono malata. Cioè, penso di avere una malattia rara, e d’altronde non saprei come altrimenti definirla: sono una visionaria. Ogni persona che incontro e che abbia qualcosa, anche d’insignificante, che attiri la mia attenzione, stimola la mia immaginazione e mi fa inventare delle storie. Anzi, più che inventare, le vivo, letteralmente.
Secondo alcuni è una dote, ma per me è una condanna, un tarlo che, pian piano, si sta divorando la mia salute mentale.
Questa mia “dote”, però, mi ha permesso di trovare lavoro presso una casa editrice. Ecco perché tanti che scrivono si rivolgono a me: sperano che possa aiutarli a pubblicare il loro romanzo o i loro racconti. Ma io non posso fare niente, conto quanto il re di denari, no, volevo dire, quanto il due di picche. Sono ben altri a decidere chi deve essere pubblicato e chi no,. E non so nemmeno in base a quali parametri: sinceramente, non sono mai riuscita a capirli.
Il mio compito, cioè il mio lavoro, è quello di inventare delle varianti alle storie di altri, gli scrittori che i miei capi hanno deciso di pubblicare, quando queste languono, non funzionano, non vanno avanti con la giusta forza. Ma, attenzione, io solamente invento, penso, immagino i possibili sviluppi e li racconto a un registratore: di scriverli non mi è mai passato neanche per l’anticamera del cervello. L’unica volta che ho provato a mettere nero su bianco i miei flussi visionari ho miseramente fallito>>.
Questo il pensiero della protagonista mentre, camminando per strada, fa un bilancio della propria vita. La malattia di cui soffre non è riconosciuta dalla medicina ufficiale e ogni persona che incontra stimola la sua fantasia immaginifica, portandola a costruire vere e proprie storie da vivere in prima persona. E ogni volta si tratta di storie assai particolari.
Il tempo della narrazione coincide con l’arco di una giornata e in questo arco di tempo tante sono le persone che Ruth incontra: dall’amica che le da in visione il proprio testo, in quanto Ruth lavora per una casa editrice, allo strano tipo sull’autobus dai grandi occhiali da sole, o l’uomo che la guarda dalla vetrata del bar mentre lei sorseggia un caffè e che sviene, al signore che raccoglie cicche di sigarette da terra; e ancora dal bambino, orfano di madre, che piange, all’uomo che lava i vetri di un grande edificio ai quattro ragazzi che, da un auto di passaggio, le fanno uno scherzo volgare.
Per ognuno dei suoi personaggi la trentaseienne Ruth immagina una storia con sviluppi positivi o negativi, pienamente appagata dall’essere la regista della vita degli altri.
Nonostante la storia sia basata su un susseguirsi incalzante di eventi e accadimenti, l’abilità dell’autore consiste nel fondere tutti gli spunti in maniera armonica.
Il lettore è condotto così ad identificarsi con la protagonista/ io narrante e tutto ciò è filtrato dall’abilità narrativa di Sestito. Un esempio su tutti quello di pag. 25:
<<Non so quanto tempo sia passato. So solo che, a un certo punto, vengo distolta dalle trame della mia immaginazione da un guizzante serpentello che, subdolo, si è infilato nell’intrigo dei miei desideri e mi ha morso a tradimento, facendomi sfavillare l’improvvisa voglia di un caffè. Neanche fossi stata incinta.. Sia mai!
La bellissima mora e lo strano tipo con gli occhialoni da sole non ci sono più. Probabilmente sono scesi qualche fermata prima, ma non saprei dire se alla stessa o a due diverse.
Comunque, potrei prenderlo a casa il nero, caldo, fumante, liquido oggetto del mio desiderio. Invece no.
Scendo alla fermata immediatamente successiva ed entro nel primo bar che trovo. Mi siedo a un tavolino vicino alla grande vetrata dell’ingresso, in prima fila per lo spettacolo della città di pomeriggio, e ordino.
Fuori, in contrasto con la mia voglia di far niente, la gente, come al solito, corre indaffarata.
In un attimo, lo stesso solerte ed efficiente cameriere che ha preso l’ordine, mi porta il caffè.
E mi sono appena portata la tazzina alle labbra, quando il mio sguardo si posa su di un uomo che, da fuori del bar e attraverso la vetrata, mi fissa come impietrito.>>.
Questo fantasticare in presa diretta viene arricchito e ulteriormente completato dai ricordi, e da flash back, quale ad esempio quello di una sera a teatro, e del suo incontro/scontro con l’attore protagonista. Al termine della giornata, al rientro a casa, il tarlo, l’idea fissa ed assillante di Ruth continua la propria instancabile opera: i personaggi delle vicende immaginate e vissute sono tutti li a festeggiare il suo compleanno. E insieme a loro altri personaggi sconosciuti ma che Ruth, è sicura prima o poi d’incontrare. Solo il sonno sarà in grado di sopire questa sua esuberante fantasia.
La costruzione dello spazio in cui è ambientata la vicenda si sviluppa dunque attraverso la protagonista e in particolare ciò che ella vede e sente.
Per concludere un testo, notevolmente omogeneo per costante qualità di scrittura e non possiamo che augurare allo scrittore di regalarci altri scrigni di scrittura.
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa, 6 Marzo 2015