Il tema della morte è uno dei cardini della letteratura di ogni epoca, sia nell’ambito della lirica che della narrativa. E’ un interrogativo con cui ogni autore si deve per forza confrontare, trovando un abbozzo di risposta, un’ipotesi, sempre correlata al suo personale e individuale modo di vedere il mondo, nell’ottica delle proprie esperienze, fedi, convinzioni profonde.
Carla Spinella in questo suo intenso libro Il canto dell’assenza, pubblicato nel 2013 da Leonida Edizioni, ha esposto in modo nitido la sua visione della fine, ma anche, a suo modo, una forma di riflessione, un ragionamento su ciò che risulta di per sé ineluttabile e al di fuori delle capacità umane di intelligere.
I modelli di poesia sulla morte sono, come detto, numerosi e di notevole rilievo. Dai classici greci e latini ma anche germanici e anglosassoni, e, per parlare di autori di grande rilievo potremmo fare riferimento alla ”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters e a “I Sepolcri” del Foscolo.
Ma la descrizione di Carla Spinella esula da riflessioni di carattere sociale, politico, filosofico o, meglio, l’autrice calabrese di origine e lombarda per residenza, ha assimilato questi ragionamenti ma nel suo intimo ciò che prevale è un personale dolore e una volontà autentica e tenace di dargli misura e dimensione, se non un senso.
Il dolore di cui canta l’Autrice è vasto e aspro ma il titolo del libro contiene una chiave significativa di lettura. L’assenza, ossia la morte è espressa tramite un canto, vale a dire tramite un’armonia.
Prevale infatti il dolore, il peso insostenibile dell’assenza. Allora non resta che ricordare il tempo in cui le persone amate erano vive e presenti e i momenti del sole, delle vittorie della luce e della vita:
“Irrimediabile assenza”
(a Roberta)
Si sgretola il legno
nel camino ardente
come la vita nel fuoco
dell’abnegazione
Canta la tua voce
squillante alla memoria
che vacilla nel languore
dell’assenza irrimediabile
Consuma il tempo
il tuo corpo che la pietra
cela ma non scema
dentro il cuore la mia pena
Pure serbo nell’anima
il segreto del tuo sorriso
carico di senso e la luce
degli occhi dolci e maliziosi
mi sostiene per un altro giorno
Il confronto tuttavia tra la presenza viva e l’assenza è un macigno troppo massiccio per poter essere rimosso.
Il senso del dolore domina, prevale.
E’ una poesia crepuscolare, ma la dignità del dettato è garantita e sostenuta da un linguaggio basato su ritmi e cadenze classiche così come su vocaboli di un lessico elegante e solenne.
Un volume di spessore dunque, questo di Carla Spinella, in grado di descrivere con dovizia di particolari un dolore autentico che, in virtù del taglio utilizzato, è in grado di passare dalla dimensione individuale a quella generale ed universale, diventando per ogni lettore, occasione di vivida riflessione sul più arduo dei misteri.
Valeria Serofilli
LUISA BOLLERI: L’INCUBO
Il titolo del romanzo di Luisa Bolleri introduce e riassume adeguatamente il senso, il clima e il contenuto della vicenda narrata.
“L’incubo”, infatti, è la condizione umana e psicologica vissuta dai protagonisti. Una condizione di tensione estrema e costante.
Come ipotetico sottotitolo, in grado di contribuire anch’esso a dare misura e dimensione alla storia, inquadrandola con precisione ed esattezza anche dal punto di vista del genere, potremmo utilizzare questa aggiunta:
“l’incubo con i colori del giallo”, come opportunamente indicato anche nella quarta di copertina del volume pubblicato da Leonida Edizioni nel dicembre 2013.
L’abilità dell’autrice è consistita nel sapere descrivere con abbondanza di dettagli concreti, oggetti e gesti quotidiani, un ambiente familiare verosimile, credibile, quasi un documento di una vita ordinaria che poi, improvvisamente, a causa di una serie di eventi concatenati, si trasforma in un incubo vero e proprio, degno del titolo a caratteri cubitali che campeggia sulla copertina del libro.
Come in ogni giallo che si rispetti, l’efficacia dell’orrore è basata soprattutto sulla capacità di innestarsi gradualmente su una serie di situazioni apparentemente banali e del tutto rassicuranti.
A questo scopo la Bolleri utilizza volutamente un linguaggio piano, diretto, ricco di coloriture colloquiali e di dialoghi diretti, anche in questo caso verosimile, quasi fossero registrati dal vivo. Non è opportuno, chiaramente, svelare i vari passaggi della trama che conducono prima agli eventi drammatici e nel finale al disvelamento. Tuttavia è possibile ed appropriato sottolineare che l’autrice ha saputo ben dosare gli elementi e gli ingredienti tipici del giallo, evitando sia eccessi fuori luogo che sarebbero risultati sgradevoli, ma schivando anche un’eccessiva aderenza a modelli di romanzo giallo troppo in voga, come una vena eccessivamente sfruttata.
Ne risulta quindi un libro originale che si legge con il gusto della suspence ma anche con il piacere di leggere una storia che potrebbe essere autentica, grazie ai riferimenti a città ben note alla Bolleri, Firenze in particolare, e a dettagli di costume o riferimenti alla storia recente.
Un incubo ad occhi aperti, dunque, che tiene sveglio anche il gusto della lettura.
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa, 6 Giugno 2014