Prefazione di Valeria Serofilli al volume Il cattivo dono di Carla Mussi.
Quasi un ossimoro il titolo della silloge Il cattivo dono di Carla Mussi, già vincitrice del 2° premio, Sezione Silloge inedita, all’edizione Astrolabio 2013.
Un ossimoro che racchiude in sé il paradosso del dono, un regalo, qualcosa di generoso e positivo, che si dà o riceve senza niente in cambio, e dal canto opposto l’aggettivo “cattivo”.
Non è forse un caso che nelle liriche iniziali compaiano riferimenti a Pinocchio, archetipo di storia a metà tra favola e tragedia, dono e cognizione della realtà, scoperta ed esplorazione del mondo interno ed esterno.
E anche l’autrice, come il protagonista del capolavoro collodiano, spazia infatti dalle illusioni del paese di “Acchiappacitrulli”, alle verità amaramente scoperte, con un linguaggio consapevole, con sarcasmo, con la capacità di cogliere il lato ironico delle cose e delle situazioni:
“Sollevando lo sguardo mi rivedo
nella mia vera forma,
quella con cui mio padre
mi aveva costruito.
Sono io il burattino
benché di legno, appeso
al suo cappio assassino.”
(da “Incontro alla quercia grande”)
Recita al riguardo la lirica “Ultimo saluto al padre”:
“Il mio sangue in sommossa
sa mantenermi vero burattino
e non ancora in carne ed ossa.”
E ancora, da “Allegria”:
“C’erano brutti ceffi, malviventi
banditi storpi, ladri deficienti
ma che fascinazione, e che trastulli
da restarci fregati per le rime
ad Acchiappacitrulli.”
Ma questo senza mai ricorrere al patetismo né alla resa incondizionata , bensì, da brava lanciatrice di coltelli, con versi secchi e graffianti, non privi di una certa aggressività, dai quali emerge sempre la forza della parola, con quella consapevolezza anche del proprio male.
Conseguentemente le immagini più ricorrenti nella silloge sono proprio quelle del coltello e delle forbici con la loro punta (si vedano al riguardo le liriche “La polpa”, “Il premio”, “Terrestre”, “Dio della caccia”, Alla mia tavola), come altri termini appartenenti allo stesso campo semantico quali coltellata, croci, scheggia, ferita (“In morte di lucignolo”), taglio (di capelli come in “Dio dell’Ordine”), stimmate (“Apnea”), lama (“Preghiera.Dio di violenza”), per giungere alle liriche “Le unghie”, “Artigli” “Il lanciatore di coltelli”,“che eleggono tali termini a titolo stesso:
“Sono io il lanciatore di coltelli
che non vede più bene
la mano trema e teme
ma non cerca rinunce.”
“Sulle mie unghie a stento mi soffermo
per non guardarle troppo
devo scordare tutto quel furore
che ho, del predatore”
(da “Le unghie”)
Dunque una visione del mondo e della realtà, onesta e non sterilmente romantica né di maniera, questa di Carla Mussi, in cui anche nell’emozione emerge il ragionamento:
“Della serpe il morso a tradimento (…)
Sapere che la vita / è solo il ricordo
che hai / mentre cadi”.
Peculiarità della silloge è inoltre il ricco apparato fonoprosodico di allitterazioni, rime baciate, assonanze e consonanze, soprattutto nei tre versi finali di quasi ogni composizione.
Dalla lirica “Apnea”:
“E’ presunzione
certo
non d’innocenza
la stimmate da circo
della mia resistenza”
Oppure da “Il sasso lanciato”:
“io sono l’ombra sulla piccionaia
del volo polveroso che solleva
la sporcizia nell’aia.”
L’emozione, in questa silloge, è dunque una mistura complessa di sentimento e ragione, come nella lirica “È quel che è. Leggendo Erich Fried”, solo per citare uno dei numerosi esempi, in cui l’autrice parte da una descrizione fisica (“nuda in punta di piedi / prendo un libro dallo scaffale “), per giungere alla conclusione, al pensiero ulteriore (“bisogna sollevarsi / per leggere l’amore”).
Forse è proprio la capacità di vedere oltre, il cattivo dono di cui ci parla tanto accoratamente la nostra Carla Mussi, quel coltello che apra il guscio della verità, che sappia offrire al lettore la giusta chiave interpretativa per entrare nel mondo della sua poesia , non senza quella sapiente ed efficace contaminazione della fiaba di Pinocchio con la tematica dell’emblematico episodio del cacciatore di “Biancaneve”:
“Ti regalo il coltello
che ha ucciso l’animale che correva
nel folto del respiro”
(da “Dio della caccia”)
Valeria Serofilli