Pubblicato in Lo spicciolo nuovo n. 23 - 18 Dicembre 2004 -
Fedro rivisitato: il nuovo libro di Valeria Serofilli
di Sandra Lucarelli
Quando un’artista, una poetessa, come Valeria Serofilli, rivisita la fiaba, ne ha una percezione più intima e ne affina la sensibilità ed i significati nascosti. Quando poi interviene l’esperienza, prima di insegnante di lettere, che conosce a fondo il latino e coglie le sfumature della lingua di Fedro, poi quella di madre di Daniele, allora il mosaico si completa e la rivisitazione si muta in esegesi, esame critico. Un accostamento di anime che rende i versi piccole tessere di un mosaico di saggezza che non può prescindere dai padri del passato. E’ la memoria tradotta, trasferita attraverso i millenni, da mente a mente, emigrata nel Dna da passati plurimillenari, per plurimillenarie vie pedagogiche. La favola ha da sempre educato generazioni di bambini ma i testi, elaborati dagli adulti, diventano giochi mentali di raffinate fantasie, introspezione nell’universo infantile che sviluppa, di pari passo, l’arte dello scrivere e del dipingere. Si può dipingere con le parole e con il colore, con il segno grafico o con il periodare letterario.
Valeria Serofilli collega tutti questi elementi in un unico testo la cui copertina, illustrata da Milena Moriani, è il trait-d’union, quasi rimbaudiano tra colore, immagine e parola. L’autrice ci annuncia che il verso è libero, né poteva essere altrimenti in questi tempi moderni in cui trascorso è il senario giambico dei latini o la rima ottava dei poeti e cantastorie dei secoli scorsi. Dunque la favola in poesia: “gioco di esuberante fantasia” ed un desiderio fortissimo d’esprimersi e comunicare; gioie, dolori, vizi, e virtù di questo mondo che corre in fretta e non si ferma più a riflettere sui veri valori. La prudenza per Valeria è una virtù, la principale, così la sincerità ed il desiderio di giustizia. Per un avvocato, come me, è una prerogativa di difesa e l’agnello, da sempre, un simbolo puro di giustizia, negata, violata, tradita. Così come l’innocenza dei bambini, violentati dalla perfidia degli adulti, senza coscienza e senza scrupoli, massacrati da guerre intraprese da belve in cui, secondo l’assunto di Hobbes, “homo homini lupus”. Che dire della vanità di tante cornacchie e di vecchi tromboni, cariatidi incipriate, zimbelli da compatimento? Ingordigie e pavoneggiamenti, chi si gonfia fino a scoppiare, come la rana col bue e la sottile ironia dell’autrice, consapevole delle pirandelliane maschere nel teatro di vita quotidiana: le mille facce dell’ipocrisia.
Ingannevoli lusinghe che non diventano più incentivi all’entusiasmo, quand’è palesato e scoperto l’inganno ed il trucco diventa prezzo da pagare.
In ogni percorso, si sa, deve guidarci l’intelletto, quella ragione chiave di volta per affrontare la vita. L’animale che vediamo allo specchio è allora il nostro “alter-ego”, in un mondo dove tutto si paga a caro prezzo ed in particolar modo la libertà, diritto irrinunciabile di ciascuno: animali ed uomini.
Dice il cane al lupo che moriva di fame: “ Così ho la pancia piena anche se il collo ho cinto da catena”.
Mentre la bilancia della vita, come quella della giustizia, mantiene a stento l’equilibrio, la favola ci affascina ancora, come rifugio e mezzo per pareggiare la dose, una sorte di magica alchimia di ogni padre e madre universale che cresce, educa, istruisce, anche se non partorisce. Dalla funzione maieutica a quella ermeneutica, favola che partorisce la fantasia ed insegna la realtà della vita, attraverso la simbologia che afferra ogni occasione di talento per volgerla in sensibilità ed ingegno, che fanno il vero “corpus” dell’opera d’arte.
Valeria Serofilli conosce bene questi principi tanto che, rivisitando Fedro, invita se stessa e tutti i lettori, grandi e piccoli, a metterli in pratica.
Sandra Lucarelli