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Ivano Mugnaini: Nota di lettura a Fedro rivisitato di Valeria Serofilli

Le Opere > Fedro rivisitato (Poesia)
Da Pomezia - Notizie Anno 12 - (Nuova Serie) - n. 11 - Novembre 2004 - Pag. 8 e da Alla bottega, rivista quadrimestrale di cultura ed arte, anno XLIII - n. 2 - maggio-agosto 2005 e in vicoacitillo

Nota di lettura di Ivano Mugnaini a Fedro rivisitato di Valeria Serofilli
Bastogi editore, Foggia, 2004

Conciliare la serietà della “morale della favola” con la libera inventiva del gioco e allo stesso tempo conferire alla lievità ludica lo spessore della misura, l’attenzione e il rigore. E’ questa una delle sfide più significative che Valeria Serofilli ha affrontato in questa rivisitazione in chiave poetica di alcune delle più note favole di Fedro. Per affrontare l’impegno l’autrice ha portato con sé gli strumenti a lei più cari e consoni, quelli di cui aveva già fatto efficacemente uso nel suo precedente volume di versi “Tela di Eràto”: la capacità ed il gusto di abbinare la freschezza e la curiosità con il recupero amorevole della cultura, i simboli, le metafore, le storie e le leggende del mondo classico. La sintesi di tutto ciò è visualizzata nella copertina del volume realizzata da Milena Moriani. La vivacità dei colori dà vita a figure, oggetti e animali che evocano in modo immediato un insieme di valori allegorici, mitologici, antropologici. Tuttavia la visione d’insieme è rassicurante. Non c’è sovrabbondanza di segni e richiami, c’è al contrario una pienezza armonica priva di pedanteria: gli animali e perfino gli oggetti rappresentati paiono invitarci con spontaneità a cogliere la pienezza del pensiero e del sentire. L’enorme cicogna in primo piano richiama in modo chiaro la vicenda emblematica della volpe e della cicogna, riproposta dalla Serofilli nella lirica "Pan per focaccia", ma, per libere "assonanze" visive e mnemoniche, riporta alla mente anche la vicenda di Leda. La cicogna è anche un po' cigno, è simbolo della creazione e del canto, e non è un caso che al posto delle zampe abbia gambe tornite di donna coperte da calze rosa-shocking: un invito alla danza, alla sensualità, alla leggerezza.
La rivisitazione di Fedro offre a Valeria Serofilli il modo e lo spunto per fare poesia delle miserie e delle grandezze umane, stigmatizzandone i difetti ma anche rifuggendo alla tentazione di porsi in cattedra e di imporre prediche gelide, asettiche. Una delle chiavi di questo atteggiamento si trova nella lirica “L’arco e l’anima”, là dove si invita a seguire il consiglio di Esopo, quello di riscoprire il sapore del gioco. Il distico finale fa riferimento al più moderno ma sempre valido esempio ricavato dalla narrativa pirandelliana. Il ben noto episodio in cui il serioso protagonista del racconto si ritrova a far la carriola con il proprio cane.
Così come Esopo è il modello privilegiato di Fedro, Valeria Serofilli attinge al panorama variegato delle favole fedriane. Il distacco tra l’autrice pisana e il favolista latino è maggiore comunque, non solo per la distanza cronologica, non solo per il passaggio dalla prosa ai versi, ma anche per il processo di rielaborazione e creazione pressoché ex novo, in molti casi, quella “rivisitazione” che l’autrice ha indicato con chiarezza a partire dal titolo del libro mettendo immediatamente in chiaro che non si tratta né di traduzione né di riproposizione né di una qualsivoglia forma di adattamento.
Tutto ciò appare evidente confrontando le poesie di “Fedro rivisitato” con il testo delle favole a cui sono ispirate. Persino i titoli delle poesie della Serofilli sono distanti da quelli originali. Spesso non è facile risalire al modello di riferimento, e sono molto utili a tale scopo le coordinate offerte in calce a ciascuna lirica, la specificazione del Libro e del numero della favola di Fedro presenti nel testo di riferimento, quello dell’edizione Rizzoli del 2001 curata da Enzo Mandruzzato.
Rivisitazione quindi, nel senso più ampio ed autentico: l’adesione di base ad un punto di partenza e di riferimento ben determinato per poi operare una selezione ed un rimodellamento autonomo del materiale di base. Un’opera di poesia genuina e personale quella proposta da Valeria Serofilli, la quale, un po’ per scelta e un po’ per istinto ha disseminato il libro di chiari ed inequivocabili “marchi di fabbrica”. A partire dal punto esclamativo posto al termine di ciascuna lirica. Quasi una firma ulteriore, una cifra distintiva per evocare all’istante un tono, uno stile, un approccio specifico. Quel punto esclamativo chiama in causa il lettore in modo diretto e confidenziale, è quasi un invito a condividere l’ambivalenza di fondo di cui si è già fatto cenno: quella tra il valore esemplare delle storie narrate, la saggezza dell’esperienza tramandata nei detti e nei proverbi, e, sul fronte opposto, il gusto del gioco, il vedersi riflessi in uno specchio fedele e saper tuttavia sorridere di fatali ed umani difetti e di altrettanto puntuali debolezze.
Altra traccia caratteristica inserita nei testi per volontà e per scelta è quella relativa all’uso delle tronche, generosamente distribuite all’interno dei versi. Tale opzione potrebbe far torcere il naso a qualcuno. L’autrice si salva comunque dall’accusa di proporre soluzioni linguistiche stantie grazie all’arma sempre efficace della naturalezza. La scelta non appare forzata né dettata da puro sfoggio o da scimmiottamenti dello stile classicheggiante. La commistione tra l’attrazione per i modelli classici e ed una freschezza attuale e genuina è una delle caratteristiche insite nella produzione della Serofilli. Era già presente nei suoi precedenti volumi e si ritrova, in modo del tutto coerente, in “Fedro rivisitato”.
Anche l’incedere, il ritmo, la musica interna dei versi è simile a quella di “Tela di Eràto” e dei volumi d’esordio dell’autrice. Anzi, in “Fedro rivisitato” la ricerca dell’asciuttezza del dettato è condotta ancora oltre. Tutto il superfluo viene accuratamente limato ed estromesso. Versi brevi e liriche contenute, con le sillabe che si condensano e si consolidano per racchiudere, spesso nell’arco di un distico, una morale, un significato che appare tra le righe, mai reso esplicito e diretto, mai sviscerato in modo disteso.
Poesia, quindi, concentrata ed allusiva. La trama, il gusto del raccontare, il valore esemplare degli episodi narrati si presentano in modo implicito, si fanno strada emergendo dalle strette fessure dei versi, dagli esigui interstizi di allegorie e simboli. Risultando così, una volta individuati ed evidenziati, più incisivi, sia nel sorriso complice che nella giusta condanna, nell’identificazione volta per volta con i furbi e gli ingenui, i carnefici e le vittime.
La poesia di Valeria Serofilli, seppure, è giusto ribadirlo, autonoma e personale, ha anche la funzione ed il piacevole effetto di incuriosire, di spingere ad allungare la mano verso scaffali, polverosi o meno, per andare a pescare o ripescare con un po’ di nostalgia un volume di Fedro e magari anche di Esopo. Spinge a rispolverare con il dovuto affetto qualche pagina di quella misura antica, scevra di contorsioni linguistico-sintattiche di certe frange di modernismo deteriore ed anemicamente sterile.
La Serofilli continua, anche in questa sua escursione sul terreno della favola, a privilegiare il verso curato, regolato dalla misura di un metro interno, una musica a metà tra marcia e danza che ne scandisce il passo. Brevi e controllati i versi, con un occhio attento al dettaglio, la punteggiatura, la virgola che rafforza una pausa, il corsivo che ammicca allusivo. La sfumatura fa la differenza, e ancora una volta viene fatto di pensare alla copertina del volume, il quadro della Moriani, severo e allegro, cupo e coloratissimo, ricco di pennellate sottili, nuance minime ma mai casuali, feritoie da cui è possibile intravedere o immaginare attimi e paesaggi della memoria e della fantasia.
Non ammicca al lettore-bambino la Serofilli, non spera in un improbabile ritorno all’infanzia alla Rousseau. Cerca piuttosto il gusto del dettaglio, il punto, la macchia di colore collocata al punto giusto, il rigore del gioco che conduce allo straniamento per poi invitarci a considerare ancora una volta con generosa sim-patia l’umana progenie.
Se si “spoglia la favola del suo animale”, come invita a fare l’autrice nell’epigrafe del libro, “ecco balzar cruda la morale”. Si tratta di una crudezza umanissima e complice tuttavia, severa ma anche benevola tutto sommato, come la poesia, come il gusto agrodolce della riflessione. C’è un piacevole e ben condotto recupero delle radici letterarie ed antropologiche in questo libro di Valeria Serofilli, Fedro, Esopo, Lafontaine, Trilussa, gli autori, le leggende e le vicende che li hanno preceduti e hanno fatto da substrato alla loro produzione, ci sono i simboli, gli oggetti quotidiani che ritrovano fascino e misura, il senso primigenio delle cose e delle parole, le idee e i mattoni di base della comunicazione e della cultura. C’è, in questa rivisitazione di Fedro condotta con passione da Valeria Serofilli il piacere di una poesia genuina e curata abbinata a vicende gustose in cui si rispecchia la saggezza antica ma soprattutto il volto immutabile della vita eternamente sospesa tra riso e pianto, tragedia e ironia. L’invito a non imitare la proverbiale volpe considerando la felicità grappolo acerbo, l’incitamento a fare piuttosto di gioia e dolore “ugual dose e piatto”, ad essere parchi “nell’intristir o nel rallegrar la faccia”, perché, l’esperienza lo insegna, “come il cielo/mutevole è la sorte”.

Ivano Mugnaini





 
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