Cadenze ritmiche, quasi scandite sulla traccia di un ordito musicale, un pensiero a frammenti, che indugia e si compiace, anche, in quella intimità dell’io che è strato di trascorsi e di attese, di ricordi e d’intuizioni.
Carlo Giuseppe Lapusata ne coglie la suadente schiettezza definendola in una sua recente lettura critica << …una poesia dell’anima, ritmata, sovente in rima, con uno stile personalissimo, che si avvale dell’ironia pungente verso le brutture delle situazioni esistenziali del “quotidiano”, per evidenziarne l’evanescenza, la transitorietà, lo stile venato di sottile umorismo con una funzione essenzialmente sentenziosa nei confronti del mondo circostante: “Ridendo castigat mores”.
Il tuo “infinito ”, cara Valeria, dei cieli del sogno, della favola, della poesia, si scontra con la caducità e la scialbatura della così detta realtà in cui viviamo ed operiamo.
Il linguaggio è essenziale, accuratamente limato, simbolico, ricco di metafore e di sinestesie, con alle spalle tutto il retroterra culturale della Serofilli esperta di storia dell’arte dalla sensibilità acuta e raffinata, come avvertiamo specialmente in “Tela di Eràto”, dove la Poesia si sposa con la Pittura e della Serofilli docente di letteratura e studiosa dei problemi pedagogici-psicologici legati alla prima infanzia.>>.
C’è anche un rifarsi continuo ad un classicismo non solo formale, nelle composizioni di Valeria Serofilli, e cioè un richiamo a un modo di essere, a una cultura, a una storia ormai interiorizzata dall’autrice, come impronta indelebile dell’essere, in un’appartenenza che definisce tratti e segni di una sorta di “catalogo” figurativo, fatto di cromie ora tenui, ora intense, per mezzo delle parole impastate come su una tavolozza e stese poi sia su queste pagine che in una ricreata dimensione intimistica. I versi che si susseguono in questa raccolta toccano, certo, tematiche esistenziali costruendo però simbolismi, strappando e ricucendo testimonianze e tracce, anche, di un vissuto proprio ed altrui, senza estraniarsi , tuttavia, da quella contestualità di inizi e di approdi nei quali ognuno potrebbe riconoscersi.
I lavori, inoltre, della Serofilli divengono luoghi dalle misteriose alchimie, di rebus, persino, disegnati usando un linguaggio allusivo e provocatorio, non per creare barriere o incomprensioni, bensì per sfidare ad una maggiore partecipazione e ad una intesa chi sia veramente in grado di coglierne i messaggi. A dare quindi ulteriore spessore alle immagini evocate, ecco le illustrazioni-simbolo di alcune pagine: dei totem, potremmo dire, per quei viandanti che si addentrino in scenografie labirintiche, corredi comunque essenziali d’una recitazione tratta da eventi sempre in partecipato convincimento.
Per meglio chiarire tale coinvolgente peculiarità, riporto le parole stesse dell’autrice che ha esplicitato le fasi della sua creazione poetica nei seguenti termini:<<L’ispirazione che mi porta a scrivere poesia, scaturisce da un iniziale stimolo visivo. In un secondo tempo all’interno di un’ampia gamma di opere pittoriche, ricerco il soggetto maggiormente in grado di ricreare l’hic et nunc che ha generato il momento creativo. L’immagine viene così assimilata nel tessuto poetico conferendogli quella completezza ottimamente sintetizzata nel principio più consono e vicino al mio orizzonte interiore, quale l’oraziano “ut pictura poesis”. Il titolo stesso della raccolta intende evocare il concetto di pagina-tela, di poesia come pittura.>>.
Anche i neologismi o certi accostamenti fonetici che potrebbero talora richiamare a scelte di cultura del primo Novecento si riscattano, qui, da qualsiasi analogia per compiersi in uno stile personalissimo, elaborato su di uno spartito non privo – come ha scritto ancora Carlo Giuseppe Lapusata- neppure di una sottilissima ironia che nulla toglie, comunque, alla pregnanza e alla forza delle sue notazioni.
Le ragioni, le certezze e le tensioni dell’autrice , s’intrecciano sul filo tenue che unisce le sue stagioni senza spiegarle fino in fondo, suggerendo spunti di riflessione, tratteggi esistenziali e “fughe” dalla disillusione, dalle antitesi e dalla fragilità.
Sarebbe pretenzioso affermare, criticamente, l’esistenza di un epilogo, in questa raccolta. Il divenire incessante della condizione, della quotidianità della poesia induce a pensare, semmai, che l’ultima pagina non chiuda questo libro e che resti così, in attesa di altre parole, di altri nuovi momenti, di atmosfere ora assolate ora ombrose, e sempre più affascinanti in quell’evocativa, ma mai retorica proposta, che trova terreno fertile solo nell’interiorità di chi ha molto amato.
GIULIO PANZANI
Prefazione al volume