Testi tratti da Inadeguato all'eterno, Felici Editore, San Giuliano Terme, 2008 - Premio "Orfici" 2007
La tempesta
Sarebbe troppo agevole, per noi,
uno schianto di cielo, urlo, pianto,
riso stranito, poi, più niente.
Solo il corpo, per istinto antico,
si affannerebbe alla ricerca
di un riparo di fortuna.
La mente, già leggera, lontana
sulla schiuma che vola incontrastata
verso il mare.
Ma la nostra tempesta, per quanto
lunga, limacciosa, densa di vento
e torrenti, tronchi, liquami, rottami,
finisce sempre, all'indomani, con un sole
in tuta da lavoro, stinta ma brillante,
abbastanza per vedere che niente, davvero,
è cambiato.
Solo il ciglio del fiume è più largo,
corroso, cosparso di fango già pronto
a mutarsi in argilla. Estetica immutabile
del nulla, laccio emostatico di una subdola
serenità, vespa cieca, assassina, a spasso
sopra e dentro la testa, ti lascia solo
l'attimo, lo scarto, fessura breve
di silenzio afferrato in controtempo:
ascoltare, lontano,
l'eco, il suono, la speranza:
una vana, vitale tempesta.
Quando verrà l'inverno
Quando verrà l'inverno, vero,
mortalmente sano, geleranno i virus
e le parole, si serreranno strette, spaurite,
le bocche spalancate dei bambini e i latrati
di cani straniti dal cigolio dei cancelli,
gli sguardi gialli sollevati verso vetri ignoti.
Piomberà, freccia, ferita, la sferzata nitida
di un vento di neve. Respirare, in quel momento,
sarà azzardo, scommessa vitale, mossa fragile,
lieve, sull'orlo di un dirupo. Sarà sentire,
nel fiato sincero della tramontana, la voce,
l'urlo mai spento del lupo. Riconoscerlo
affine, vicino, sarà morire nei suoi stessi occhi,
nelle ossa appuntite, tornando magri, leggeri,
nei fianchi e nei passi scavati, voraci, soli,
scostanti, ancora affamati di tenerezze
feroci.
La notte
La chimica pura e corrotta
dei tuoi studi, gli anni
giovanili, terra d'elezione,
stagione effimera interminata
della mente, la notte,
compagna insaziabile assetata
del sangue delle tue narici,
sudore dei lombi, mani perdute
nella frenesia ponderata dei tuoi
Canti. A lei hai dato tutto,
e non importa cosa hai avuto
in cambio. Il tuo seme sparso
nel grembo ha generato un corpo
arcano, rosso di sangue e grida,
pronto a correre, a fuggire,
appena nato.
Alieno alla luce, al riflesso paziente
delle aiuole, suore dai capelli a larghe
tese, ombra di chiese consacrate soltanto
al santo protettore del potere.
Le cosce della notte, sode, calde, distese
è lì che hai gettato i tuoi pensieri,
da loro li hai lasciati stritolare
per ritrovarli fertili, schiusi,
urlanti di forme di parole.
La notte, calore di geli senza fine,
i guanti a scaldare la penna,
nella bocca il diamante di un riso
da incastonare nel tremore
di un concetto, un'idea, pietra
che forgia e misura
il corpo del mondo,
frantumandolo.
Quale amnistia?
Quale amnistia? Per quali peccati mortali?
E' cosa da poco, in fondo, la morte, banale,
veniale o giù di lì, di sicuro scontata,
garantita come una sentenza, o un elettrodomestico
Philips con controllo illimitato di qualità.
Perché tarda allora l'indulto al vizio comico
del vivere? Qualcuno lo disse "assurdo",
questo abuso, tale misera esuberanza, ma
fu solo mirabile tautologia.
Almeno allora uno sconto di pena alla pena
dell'essere, una via di fuga, d'ingresso, d'uscita,
il lusso di un carcere aperto alla speranza
della redenzione, il crimine antico di ritrovarsi
colti clamorosamente sul fatto, nel sacco entrambe
le mani, in piena flagranza di reato, nell'atto doloso,
e recidivo, di essere ancora vivi, ancora umani.
Ivano Mugnaini