Michele Paoletti e Valeria Serofilli
IL DIONISIACO GIOVEDI’ DI MICHELE PAOLETTI
Nota di lettura(.pdf) di Valeria Serofilli al volume Come fosse giovedì (puntoacapo Editrice, 2015) di Michele Paoletti.
Ad un anno dalla scorsa edizione del Premio Letterario Internazionale Astrolabio, è un piacere poter presentare l’autore del testo vincitore della sezione Poesia singola 2014. Un autore giovane ma già in possesso di una personalità ben delineata, in grado di dar vita ad un dettato poetico originale e lontano da molti schemi già mille volte tracciati e percorsi. Il lavoro di Paoletti è poi confluito nel volume Come se fosse giovedì, pubblicato l’anno seguente da puntoacapo Editrice (con postfazione di Mauro Ferrari) nella Collana “I libri dell’Astrolabio” da me diretta.
Un libro nato dunque arricchendo ed ampliando il nucleo di fondo del testo vincitore dell’Astrolabio, confluito in questa nuova e più ampia raccolta caratterizzata da una forte omogeneità e compattezza.
Una pubblicazione prolifica che a sua volta ha dato esito all’opera successiva di Paoletti, La luce dell’inganno, in una fertile continuità ideale, sempre all’insegna del principio oraziano dell’Ut pictura poesis, con poesie dell’autore associate a originali fotografie dell’eccellente Andrea Cesarini.
Sul piano della versificazione si ha un ricco apparato fono-prosodico con rime, allitterazioni, consonanze e assonanze e con un andamento del verso che presenta chiari e ben riconoscibili echi luziani caratterizzati dalla rima nel distico finale e nei tre versi conclusivi.
Luzi dichiarava:
<<(…)
Ma tutti la vita li contiene.
Tutti, e procede imperiosamente.
Tu sai questo, e questo ti conviene.>>
(Da Nominazione in Frasi e incisi di un canto salutare, 1990)
Paoletti gli fa eco, ricalcandone in un primo momento stilemi e cadenze, per poi prendere un sentiero proprio, autonomo e indipendente, memore del prestigioso modello ma orientato verso una personale disciplina linguistica e tematica e verso soluzioni del tutto individuali, come è giusto e opportuno che sia. Paoletti risponde ai versi di Luzi in questi termini:
<<(…)
il faro sul soffitto
la botola sul palco
l’attore, lo sconfitto.>>
(Da Sono il tiranno in Come se fosse giovedi, puntoacapo Ed. 2015)
E ancora:
<<Per attutire il suono dei monti
che percorro disattento
cane affamato
che abbaia contro il vento.>>
(Da Smorto raccolgo cristalli di meduse)
Mentre come esempio di distico finale con rima baciata possiamo citare i versi qui di seguito riportati :
<<(…)
un digiuno
un osso da mordere
con denti di pruno
il ricordo di qualcuno.>>
(Da Mi spinsi oltre, in Come se…, op. cit.).
Si noti come le tematiche luziane, la riflessione sul vivere del poeta fiorentino, le sue considerazioni lucide ma mai aliene alla ricerca di un senso, fosse pure di natura filosofica o proiettato in un altrove ancora da definire, in Paoletti assumano una schematizzazione quasi sincopata, come una serie di indicazioni, quasi descrizioni delle azioni e degli oggetti di quel vasto e complesso palcoscenico che è la vita. I versi mimano e riproducono le didascalie di una rappresentazione che è sia descrittiva che simbolica. Come a voler raccontare ciò che accade sia dentro che fuori, nel tempo, nella dimensione cronologica che può essere quella di un giovedì qualsiasi di una vita qualunque, oppure un momento irripetibile, carico di valenze simboliche, allegoriche, quasi sacrali, sia pure nell'ambito del sacro individuale, dei momenti fondamentali per la vita di ogni uomo e di ogni testo.
La versificazione di Paoletti è asciutta, scarna, deliberatamente simbolica. La poesia si insinua negli interstizi tra un verso e l'altro, così come la vita si intrufola, a volte nemica altre giocosa, negli spazi che separano e uniscono i vari giovedì, i momenti che passano e portano con sé le scene a cui danno vita e da cui ricevono il dono e il fardello dell'esistenza.
Il presente contributo intende analizzare, nell'ottica a cui si è fatto qui sopra riferimento, alcuni aspetti della teatralizzazione attuata da Paoletti nel presente volume, accogliendo la definizione di Mauro Ferrari nella postfazione al testo, con occhio rivolto al saggio I giocattoli di Dioniso, studio sul mito dell’invenzione del teatro tramandato dalla tradizione orfica a cura del professor Mastropasqua¹.
Un autore, Michele Paoletti, da sempre appassionato di teatro, come emerge anche da questo suo lavoro poetico. Un poeta “che ha il teatro nel sangue”, per dirla con Lorenzo Spurio. Il giovane autore toscano parte infatti dalla tormentata teatralizzazione del quotidiano per veicolare un messaggio universale: l’antica sentenza silenica secondo cui <<Bello non essere nato, e, una volta nato, al più presto varcare le soglie dell’Ade>>². Frase che di per sé appare annichilente ma che, come una presa d'atto nitida e coraggiosa, ha come conseguenza l'invito a raccogliere quanto di buono e vivibile la vita vera può concedere.
In questa sua opera d’esordio, l’autore sembra giocare nel teatro della vita come Dioniso bambino con gli otto giocattoli della cesta mistica: l’astragalo, la palla, la trottola, le mele d’oro, lo specchio, il vello, il rombo, le bambole pieghevoli.
E se non tutti gli otto giocattoli, nel testo di Paoletti ne ritroviamo almeno quattro:
le bambole – i fantocci che recitano una parte; lo specchio - il cerchio; l’astragalo-la radice; le mele d’oro - i fiori gialli.
Oggetti simbolici che veicolano la metafora di fondo: la vita come spettacolo, fatta di quelle maschere a cui il teatro, e la letteratura più in generale, hanno fatto riferimento in innumerevoli modi e forme, tramutando il concetto in uno dei topoi fondamentali di ogni analisi testuale. La maschera, comica o tragica, seria o assurda, tra Plauto, Pirandello, Ionesco e mille altri. La maschera che è il doppio della persona, eppure essa stessa persona, anche dal punto di vista etimologico. Il tutto nei versi di Paoletti si complica ulteriormente, arricchendosi di altri simboli e allegorie, grazie allo specchio, che riflette e frammenta ciò che è già di per sé duplice e scisso.
Non resta allora che il gioco, la bambola, i fantocci, la ricerca di un altro da sé che possa assumere su di sé il negativo tramutandolo in riso e in apotropaica via di fuga.
Dalla miseria della sorte alla ricerca di una perfezione che forse si raggiunge solo in momenti ideali, nei giovedì vissuti o immaginati, nel canto, nella musica e nel sogno, Lì si trovano le radici dell'essere più misero e sublime, l'uomo. Capaci di fare versi con dei semplici fiori gialli, mentre crea la mitologia delle mele d'oro. Essere continuamente sospeso tra la dimensione mondana e qualcosa che lo atterrisce e lo attrae inesorabilmente, l'altrove, il Cielo, l'Ade, o entrambe le dimensioni che proietta al di fuori di sé in quanto le possiede dentro di sé.
Torna, allora, ciclico e ricorrente, come spesso accade in poesia, il tema del tempo, trattato con schiettezza in questo libro di questo giovane autore che ci propone in questo suoi versi asciutti e teatrali una riflessione accurata ma che non rinuncia al dono della leggerezza e della concisione.
Riportandoci con naturalezza al dettame silenico. Ma, anche se meglio sarebbe non essere nati, non essere, dal momento che siamo al mondo tanto vale vivere nel migliore dei modi, vivere, appunto, come ci indica Paoletti, come se fosse giovedì, calati nel quotidiano ma con occhio all’universale: questo il messaggio dell’Autore.
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa, 13 Maggio 2016
1. F. Mastropasqua, I giocattoli di Dioniso a teatro, blog.
2. Nietzsche, La nascita della tragedia.