Il Punto di fuga, a cui fa riferimento il titolo della recente pubblicazione di Maggi, è un punto ottico, un orientamento prospettico, una serie di coordinate visive. Ma è anche e forse soprattutto, un modo di guardare il mondo, un atteggiamento mentale.Maggi utilizza un linguaggio ricco di vocaboli ariosi, di impronta classica. Già questo è un modo per porsi a distanza, per uscire dalle traiettorie dirette ed immediate. Non per fuggire, però. O, almeno, non solo. L'autore pare volersi decentrare per guardare meglio, o per osservare in modo più accurato, meno convulso. A questo scopo i ritmi e le cadenze classiche a cui si è fatto cenno risultano adeguati e funzionali.L’autore osserva soprattutto un'addolorata malinconia. Ma con un atteggiamento mai lacerato e contrito, bensì con una schietta volontà di documentazione. Come un medico che osserva un sintomo, senza garantire panacee ma senza arrendersi a sentenze definitive e letali.La speranza tuttavia, in modo adeguato e coerente, non è mai predicata o dimostrata in modo diretto. È un'immagine descritta in modo quasi documentario, un fotogramma colto mentre si entra in un locale affollato o mentre si fugge via dal medesimo ambiente, dando un'ultima occhiata panoramica. Come nella poesia dedicata al “Fast food”, nel cui finale la speranza, amara ma tenace, è forse il barbone che entra per rubare un po' di caldo e di coca cola:
(…)
Ognuno biascica per proprio conto,
i bimbi ed i grandi,
(…)
Si è tutti più soli
anche se in tanti:
lo sa bene quel barbone,
vicino alla porta,
entrato a carpirne un po’ di caldo
ed un sorso di coca.
È una poesia, quella di questo libro, basata su ambivalenze e consapevolezze di contrasti. Emblematica in quest'ottica è la poesia “Sguardi” di pagina 20. Vorremmo fermare le tracce dei nostri sguardi, arrestarle, imprimerle su un foglio. Ma non riconosciamo il nostro pensiero. "Ed è questa l'evasione/ dalla nostra condanna", conclude Maggi.
“Ci osserviamo tra noi
e gli sguardi lasciano tracce
come impronte digitali
sullo specchio dei nostri volti.
Vorremmo arrestarli,
trattenerli sul tampone d’inchiostro,
per imprimerli su un foglio
ma non riconosciamo il pensiero
Ed è questa l’evasione
dalla nostra condanna.”
Una poesia aspra, quella racchiusa in questo libro, sincera, aliena a facili compromessi. Indaga sul rapporto tra verità e menzogna, senso e assenza di senso. Tramite la ricerca di un punto di fuga che è allo stesso tempo mirato alla difesa delle parti sensibili del corpo e della mente, e, sul fronte opposto, allo studio attento, presente, oggettivo, del materiale umano, i dati esistenti, la realtà,con la poesia come sfondo, come meta.
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa, 28 Novembre 2014