PREFAZIONE
... "resto a guardare la strada calata nella solita tendina della sera e immagino "Quei Tali" di ieri e di oggi, vengono a chiedermi il perché li abbia voluti svelare ancora una volta. Sono una folla, riempiono tutti gli angoli, dilagano nella piazzetta (...) Li riconosco uno per uno e vorrei che mi dicessero qualcosa di carino, oppure si ribellassero per una sorte che magari a qualcuno non è piaciuta"...
Tornano "Quei Tali" dopo anni di silenzio: un po' invecchiati, con qualche acciacco in più e con tanta paura per una società che si è fatta sempre più aggressiva, cattiva, ingiusta. Erano abituati alla povertà, ai dolori, alle rinunce, erano temperati agli sbalzi di umore di un destino che, come dice Guccini, "li birilla come bocce da biliardo...". Ma erano, in fondo, un po' viziati da quell'aria temperata di tanti anni fa, quando l'uomo dimenticava più difficilmente di essere uomo e lasciava meno spazio alla "bestia" che è in lui.
Tornano chiamati dalla penna dell'Autrice, obbedienti e pieni di buona volontà: non hanno pretese, il loro mondo è quel piccolo universo di cose quotidiane, nel quale ogni tanto piove una tegola a mettere a soqquadro gli animi e i corpi di quella gente, "normale" e meravigliosa.
"Quei Tali", quelli che Renata Giambene chiama a raccolta sono i mille e mille volti che incontriamo ogni giorno che vivono accanto a noi e che spesso ignoriamo per distrazione, presunzione o solo perché a stento riusciamo a vedere noi stessi nello specchio del bagno, al mattino, quando ancora il giorno è tutto da vivere. La sera, poi, nemmeno a pensarci: col fiato in gola, ubriachi di solitudine e di disperazione, ci chiudiamo nelle case, sfuggendoci come compagni sgraditi e anneghiamo nella routine televisiva (quando va bene) quegli ultimi scorci del giorno, perennemente troppo breve e al contempo interminabile.
E non abbiamo tempo ne voglia di guardarci attorno, di ascoltare e vederne oltre il nostro naso, al di là di quello che ci è indispensabile per sopravvivere alla vita: ma "Quei Tali" si muovono, parlano, vivono a nostra insaputa. Magari chiacchieriamo con loro, lavoriamo o viaggiamo accanto a loro addirittura condividiamo alcuni eventi che, gioco forza ci accomunano: ma non sappiamo chi sono realmente, non sappiamo nulla del loro mondo e della loro storia. Storie da poco, si guardi bene: nulla di entusiasmante né di fantasmagorico, ma pur sempre brandelli di altre vite, ritagli di una Storia che forse altri, fra mille anni, leggeranno con interesse e curiosità e che noi sprechiamo, disprezzandoli un po'.
Renata Giambene no, non butta via nulla della sua esistenza terrena: come una previdente formichina, raccoglie anche le briciole che altri buttano via: una festa di compleanno del vicino, un lutto nel condominio, una breve storia d'amore tra due adolescenti e quella, un po' più romantica tra due anziani che decidono di rompere l'assedio della solitudine per regalarsi ciò che resta della loro vita...
L'Autrice ha cento occhi e cento orecchie ed un cuore grande; nulla le è indifferente, niente le scivola addosso senza farla rabbrividire. Accanto alla sua vita, non certo facile, è sempre pronta ad accogliere e condividere le mille e mille storie degli altri, "Quei Tali" appunto, che incrocia o che cerca, rispettosa e discreta ma disponibile a diventare parte della loro esistenza e dei loro pensieri.
Con generosità si offre alla vita, incurante delle inevitabili ferite che si produce: è abituata al dolore, proprio come "Quei Tali" di cui parla senza parsimonia e che eleva dall'abisso dell'oblio per portarli sotto gli occhi di tutti, forse nella segreta speranza di attenuare quella abietta noncuranza e quel cinico disinteresse che ci attanaglia.
Si fa voce di chi voce non ha e di chi non viene ascoltato; pazientemente, tessera su tessera, compone il mosaico di quel mondo nascosto che costituisce la gran parte dell'umanità, svelando con affetto le assurdità e le "piccinerie" che vi si nascondono, sempre pronta, però, a mettere in risalto, compiaciuta, quel poco di umanità e quel pizzico di dolcezza che trova in mezzo a tanta spazzatura.
Non giudica, non condanna: ascolta per comprendere, guarda per capire e poi racconta, con una prosa semplice e scorrevole, familiare ma non trasandata. E' un po' come le vecchie signore di una volta, sempre impeccabili pur se vestite in modo dimesso, con la cipria sul viso segnato di rughe e i capelli argentati ordinati con cura.
Anche questo è Quei Tali: una lezione di scrittura, un saggio di buona creanza in un'epoca nella quale la volgarità sembra primeggiare; senza nulla tacere, senza ipocrisie ma anche senza compiacersi di calcare i toni o enfatizzare i fatti per gusto scandalistico, l'Autrice racconta le sue storie raccolte un po' ovunque, affinchè non si perdano, perché non siano dimenticate. Pur sembrando sempre uguali, sono così uniche, così irripetibili che non possono essere spazzate via da un colpo di vento o dallo strappo di un foglio di calendario: in ognuna di esse c'è una persona e in ogni persona c'è un anima chiamata sulla terra a creare un pezzo di storia e a segnare una via che altri potranno percorrere.
Perché, dunque, perderle? Perché lasciare che si possa credere che quelle storie siano così insignificanti da poter essere ignorate?
E questa amanuense della quotidianità, si adopera affinchè nulla vada perduto: lo raccoglie e lo trascrive, lo racconta agli amici e a quanti le fanno visita, ne parla come di cose familiari perché lo sono diventate per lei. E quasi magicamente, ci troviamo proiettati in quel mondo: se vinciamo le ultime ritrosie, ci sembrerà quasi di essere parte di quell'universo fatto di persone e non di numeri o di facce vuote e ci abbandoneremo ad un ritmo che si farà sempre più familiare, quasi che da oscuri meandri del nostro spirito riemergesse la voce antica del nostro essere, finalmente libero di potersi manifestare senza vergogna ne pudore.
STEFANO MECENATE
Il libro di Renata ci inoltra nel mondo di Quei tali oggi, quelli che dovrebbero essere più vicini a noi e che dovremmo maggiormente conoscere: gli sventurati, gli afflitti, gl'indifesi, i dimenticati nella solitudine. Renata sa la strada buona per arrivare a loro e la vediamo nel suo romanzo sostare qua e là con bonario sorriso e con tenero amore, qualità proprie di chi conosce il dolore e comprende quello degli altri. Non le manca la parola che conforta e proprio oggi ce n'è bisogno quando cadiamo nelle amarezze, nelle sofferenze.
Sembra inevitabile scansare il male specie in un mondo come l'attuale accecato d'avidità, da egoismi e privo di valori spirituali. Qui la scrittrice ambienta quei tali che non sempre piangono ma anche si consolano perché ci sono pure i buoni che aiutano e provvedono. Infatti Renata scopre anche qualche schiarita rosea che spezza il cinismo e infonde speranza. I personaggi più che descritti sono scolpiti nell'incisività di dialoghi ed espressioni concettose, pur sempre esposte con brio e naturalezza.
I momenti episodici del libro presentano spesso un aspetto familiare e gradevole per la presenza di amici o conoscenti. Tra questi l'autrice s'inserisce con agile tocco lasciando riaffiorare i lunghi ricordi della vita, della sua naturalmente. Sono ricordi che non escludono qualche gioia ma non soccorrono quei tali perché non si può fare niente per nessuno. Sue parole.
Intanto si allinea a loro, camminando in mezzo a quei tali, probabilmente oggi è difficile riconoscerli (qui accenna al precedente libro), ma se stiamo attenti, continua, nessuno si è perso neppure quelli che ci guardano dall'alto del cielo. Ciò dice e sottolinea la religiosità eterna dello spirito umano che sopravvive in ogni essere umano.
Ecco una macchina fotografica, scattano foto, ecco una pellicola calda di immagini saporose. Siamo a Parigi, a Londra. Renata si sente felice e visita altri paesi ma forse rimpiange quei tali, qualcuno è solo e lei pensa: la solitudine quando è vera, suona, strepita.
Nell'ultima parte del romanzo troviamo una sorpresa per me di notevole importanza letteraria. Renata legge un libro, un romanzo trovato a caso. In lei nasce una ispirazione di originale bravura, quella di inserire la breve trama nel suo scritto. Penso che la ragione sia questa, lei riscontra una corrispondenza, un'eco, un segno emblematico di affermazione sull'esistenza di quei tali oggi che vivono nel suo libro, ma anche altrove. Donne sole di Gene Mani non le piace troppo, tuttavia lo considera per quanto c'è di vero e appone decisamente il suo pensiero ad esempio sulla solitudine delle donne alle soglie del 2000 o sulla pietosa sorte di Enrico adolescente che muore per un incidente.
Renata si commuove sulle angosce degli altri e le troviamo ovunque, nelle letture, negli incontri per strada o semplicemente stando in casa alla TV. Comunque continuiamo a guardare la luce dei cieli. Questo il senso del messaggio di Renata che ci trasmette dalla sua bella anima.
Elena Celso Chetoni